E' il nuovo sogno che Maurizio Doro cercherà di vivere nella realtà tra poche settimane. Maurizio si sta preparando per una nuova spedizione veramente estrema. Cercherà di arrivare e pedalare sulla Calotta Polare Artica ghiacciata e in movimento. La partenza di questa nuova spedizione è da Whitehorse e saranno circa 1600 i km totali che Maurizio dovrà percorrere per arrivare all’estremo Nord del Canada al piccolo villaggio di pescatori di balene Tuktoyaktuk oltre il circolo Polare Artico.
Progetto della spedizione
La spedizione si svolgerà durante l’inverno 2010, precisamente in marzo quando i ghiacci si sono assestati, ma la temperatura può superare anche i –45°.
La prima parte del viaggio consiste nel percorrere 600 km di antichi trail battuti da motoslitte che collegano piccoli remoti villaggi indiani seguendo in parte il fiume Yukon, per poi arrivare sulla famosa Dempster Highway, (pista inaugurata nel 1979) e percorrere i suoi 750 km superando le Ogilvie e Richardson Mountains (fino a circa 1400 m sul livello del mare e circa 6000 m di dislivello), le vallate, i fiumi e le vaste distese di tundra, che sicuramente saranno innevate e ghiacciate fino al villaggio di indiano di Inuvik. Qui vivono 2000 persone dove le temperature rigide sono una costante per 9 mesi all'anno e dove la temperatura media annuale è di circa -9 gradi (quella massima 31 gradi e quella minima ha raggiunto anche -56 gradi).
Poi ci sarà la parte più incerta e pericolosa: 300 km per raggiungere il villaggio di Tuktoyaktuk, passando prima sul maestoso e imponente fiume ghiacciato, il Mackenzie e poi pedalando sullo strato di ghiaccio che può superare anche 1.5m di spessore dell'Oceano Artico. In questa zona i venti hanno un'intensità e violenza tale che possono abbassare la temperatura percepita sul corpo di ben 5 volte quella esterna.
Naturalmente nevicate e bufere improvvise sono fattori che possono rallentare o compromettere la spedizione. Questi notevoli cambiamenti estremi richiedono molta attenzione ed anche la disidratazione è un fattore da non sottovalutare assolutamente per l’incolumità personale.
Con questa nuova avventura sicuramente Maurizio potrà scoprire nuovi limiti umani, aiutato dalla sua esperienza che lo ha portato in ambienti così lontani e selvaggi da vent'anni . Per noi la sua avventura verrà trasformata in un evento multimediale con la possibilità di collegamenti piccoli reportage inviati in tempo reale. Maurizio ci darà così ancora una volta la possibilità di partecipare con lui e vivere grandi emozioni.
"Noi ti sosteniamo e ti auguriamo di raggiungere in sicurezza questo traguardo"
"Dai Maurizio noi siamo pronti e tu? Con affetto il Team Naturaid"
Sarà una “Avventura” impegnativa (per lui) ma entusiasmante (per tutti noi) e che sarà piacevole seguire incuriositi. Sicuramente ci terrà con il fiato sospeso come lui ci ha abituati.
Sto per continuare ancora una volta il “MIO VIAGGIO” cominciato chissà quando e chissà dove.
Ogni terrestre ha un suo obiettivo “inconscio” e lo segue, o ne è attratto. Ognuno è unico e irripetibile. Conosco la tristezza della solitudine più avvolgente, il piacere e la gioia di scivolare nel silenzio assoluto su piste ghiacciate e conosco anche la fatica, il dolore e l’angoscia di organizzare bivacchi estremi nelle bufere più terribili o sotto la dolce danza dell’aurora boreale.
Momenti di perfezione assoluta in una natura non comune.
Da diversi mesi sento un disperato bisogno di questa solitudine.
Lo scopo della mia spedizione non è essere il primo o il più veloce. La sfida sta nell’andare da solo, nel rendermi completamente vulnerabile e nel lasciarmi trasformare dall’ambiente.
Ho bisogno di confermare che la mia vita ha un significato?
Chi te lo fa fare ?
Questa risposta oramai la conosco: “IO”.
Ci sono arrivato con fatica e angoscia, ed è stata una liberazione.
Ma subito dopo se né presentata un’altra, come passare da un chek point all’altro per raggiungere la meta.
Perché faccio questo? Da anni dopo aver dato fine alla prima domanda mi ritrovo a dover dare una nuova risposta. Sono alla continua ricerca di una risposta semplice. Sono passati molti anni ed ancora io stesso non so rispondere, se lo sapessi e se capissi anch’io veramente qual è il motivo del perché lo faccio, probabilmente non avrebbe più senso farlo, non lo farei e non avrei mai fatto quello che ho fatto. Sarebbe come affacciarsi alla solita finestra e sapere di vedere sempre le medesime cose nella stessa posizione. Nessuna emozione.
Quanto conta la sfida con te stesso, la prestazione fisica?
Sicuramente la condizione psicologica e l’esperienza è fondamentale e conta moltissimo, ma è importante anche la preparazione fisica. Con un fisico allenato si alza il livello di sicurezza. In una situazione di pericolo ci si salva solo se il fisico è integro ed ha energia. La mente ha l’importante compito di guidare il fisico e portarlo al massimo livello senza danneggiarlo. Qui stà il trucco per limitare i danni in una situazione estrema.
Fai mai dei viaggi “normali”, delle vacanze “tradizionali”?
Qualche vacanza (non molte) ricordo di averle fatte da giovane con amici, in Spagna, in Francia, a Rimini. L’ultima quest’estate con Lisa, e i miei figli Andrea di 4 anni e Greta di 2. Siamo stati in Austria ed abbiamo pedalato portandoci dietro il carrettino e i bagagli sulle ciclabili per 300 km. E’ stata una piccola vacanza avventurosa.
A volte sei stato costretto a rinunciare, cosa significa per te abbandonare un obiettivo?
Ho dovuto rinunciare per la prima volta nella mia vita nel 2001 nella gara in Alaska quando mi sono ritirato dopo 1200 km no stop. Mancavano ancora 600 km alla conclusione. Il vero motivo è stato il dover tornare al lavoro. Ero là da oltre un mese e la fine delle ferie hanno reso il mio ritorno obbligato e doloroso. Ho vissuto questo momento proprio come una "sconfitta" totale della mia esistenza. Fino ad allora mi sentivo un “Superman”, un uomo libero. Ho dovuto far passare molti mesi di dolore prima di elaborare questa nuova esperienza. Ed alla fine ho capito che solamente i pazzi sono veramente liberi. Noi tutti abbiamo dei compiti e dei doveri da quando nasciamo, se vogliamo vivere con chi ci sta affianco nella società. Per cui in quel momento anch’io mi sono dovuto adeguare ai miei doveri e sono rientrato.
Aver capito questo è stata poi una grande liberazione.
Ho vissuto poi un’altra rinuncia in Argentina nel 2008 per le condizioni climatiche diventate troppo avverse e pericolose (ero li per una salita di un 7000m).
Oggi, dopo le mie personali esperienze, considero la rinuncia come una conquista, un insegnamento. E’ un passo in più verso l’obiettivo finale.
Un esempio: Reinhold Messner (io parlo dello sportivo) è l’alpinista che ha fallito più di tutti per raggiungere i suoi obiettivi, proprio lui lo dice, ne parla non serenità e non lo nasconde. Ma è il numero 1 in assoluto.
Hai mai temuto veramente per la tua vita o per la tua incolumità’?
È da circa 20 anni che faccio avventure. Quando sono in spedizione l’attenzione è ai massimi livelli, ci si sente pronti e preparati. Ho arricchito la mia esperienza negli anni e lo so fare bene. Sicuramente penso alla mia incolumità come un qualsiasi altro individuo che fa una qualsiasi cosa.
Certo ho paura altrimenti sarei un’incosciente ed ogni mia scelta è curata e ponderata. Sono conscio che l’imprevisto è in agguato.
E’ impossibile raccontare tutti i tuoi viaggi.. ma sono viaggi? Tu come li definiresti?
E’ un percorso molto personale, i miei amici che mi conoscono e che mi hanno sempre seguito negli anni leggendo i miei racconti si sono avvicinati e hanno capito quella mia personale filosofia che io chiamo Naturaid.
Viaggiare in questo modo per te è ormai un’abitudine o c’e’ ancora qualche novità’?
Durante i miei viaggi cerco sempre un nuovo contatto con la mia Madre Natura e ogni volta mi emoziono tanto e piango. Spero di non separarmi mai da lei.
La Vita è un’Avventura Mauri
REPORTAGE
2/3/2010
Iniziata la nuova avventura di Maurizio, questo pomeriggio dopo uno scalo ad Amsterdam raggiungerà la città di Vancouver.
3/3/2010
Lo Staff Naturaid augura a Maurizio un buon compleanno e un felice cammino verso la meta.
Whitehorse 3/3/2010
Eccomi sono arrivato a Whitehorse.
Ho viaggiato ripercorrendo quasi una strada già conosciuta e collaudata. Milano, Amsterdam, Vancouver, prenotazioni, controlli, imbarchi, scali, attese, il solito Hotel per la notte a Vancouver con la consueta pianta finta dalle grandi foglie all'ingresso, e poi il giorno dopo, al mattino, sul piccolo aereo per Whitehorse. Quasi mi sembrava di conoscerlo il pilota che si è fermato parlare con i passeggeri e con me, l'unico riconoscibile europeo, e con nessun stupore per quello che cercherò di fare. Qui tutti vivono un contatto con la natura vera. Si respira la solita aria di rilassati, forse è l'ampiezza del territorio che ti fa fare un gran respiro.
Sorpresa!! Nel piccolo aeroporto il nastro trasportatore gira nudo dopo che tutti hanno tolto i loro bagagli e se ne sono andati. Sono rimasto solo, lì in piedi, ad aspettare e capisco che la mia bici per oggi non arriva. Speriamo nei prossimi giorni, non l'hanno ancora rintracciata. Non è un buon segno, ma uno stato di pace però mi avvolge. Un taxi mi porta al mio Ostello (vi ricordate? quello delle api).
Si ricordano ancora dei miei viaggi e le mie ultime foto sono appese sulla parete tra tante altre di avventurieri.
E' un bel momento incontrare persone che si conoscono. La sensazione è quella di non averle mai lasciate.
Ho subito telefonato hai miei amici che abitano in una casa di legno nella foresta fuori città e questa sera festeggerò con loro il mio compleanno.
Certo che il fuso di 9 ore di differenza si fa sentire e ogni tanto mi si abbassano gli occhi anche se qui sono le 3 di pomeriggio.
Ringrazio tutti gli amici e le persone che mi hanno mandato gli auguri.
E' un bel regalo e vi ringrazio di cuore.
Ciao a tutti
Mauri
Whitehorse 5/3/2010
Non so se augurare buon giorno o buona notte. Qui nello Yukon sono le 03:30 del 05 marzo, di mattina, sono sveglio e arzillo da qualche ora, pensando alla partenza purtroppo rallentata di questa mia avventura.
Ma almeno una notizia buona è arrivata ieri sera. Hanno rintracciato il pacco con la mia bici e il materiale... è a Seattle... bel giro, ma almeno ora so che c'è.Pensate la notizia me l'ha data la persona che era seduta vicino a me in aereo da Vancouver. Un giapponese che mi dice di essere della sicurezza aeroporto, ecco, tutte quelle domande e interesse per quello che faccio e porto, un sacco di domande fatte con calma, sorridendo, mentre io crollavo dal sonno e cercavo di sganciarmi girandomi verso il finestrino. Veramente gentile, si è interessato lui personalmente della mia bici in questi giorni ed è venuto subito a darmi la notizia all'ostello delle "mie api"
Ma un'altra preoccupazione mi perseguita, più grave, da qualche giorno ho il mal di gola e sto tossendo forte. Ho già cominciato la cura con antibiotici e rinviato la partenza a lunedì. Non ci voleva proprio sapendo che "la fuori" man mano che pedalerò e mi alzerò di parallelo ci sarà da combattere con temperature basse e venti forti. Sto valutando anche di cambiare percorso per non perdere altri giorni importanti. Probabilmente non seguirò le tracce nei boschi dove passa la meno famosa, ma la più dura e difficile gara al mondo per cani slitta, la Yukon Quest di 1600 km. Seguirò la strada principale la North Klondike Highway fino all'imbocco della Dempster Highway. 600 km di strada ottima con poca neve e ghiaccio e non trafficata, in questo periodo dicono, e con un'unica possibilità di un rifornimento a metà strada. Qui sta la difficoltà di questa spedizione, non è una gara dove ci sono altri concorrenti e dove c'è una sorta di assistenza con punti di controllo sicuri. Qui nulla è sicuro, e io posso contare solamente su me stesso e sulle mie assolute decisioni, l'unica certezza è quella di trovare rifornimento limitato in 4,5 paesi lungo questi 1600 km per arrivare all'estremo Nord. Oggi comincerò a comperare provviste, buste di cibo disidratato e integratori. Anzi, sapete cosa vi dico, già che sto parlando di cibo ora salgo in cucina e mi faccio una pasta, ho una gran fame.
Ho seguito qualche volta (qui c'è un unico pc lento e assediato dalla comunità dei ragazzi che sono qui) l'amico Sebastiano che sta facendo la difficilissima gara in MTB in Alaska, veramente notevole, lo sto immaginando, determinato, razionale, senza slanci di cuore inutili, muoversi con la sua nota calma e grande rispetto. Ha superato la parte che mette in difficoltà tutti i partecipanti, un passo dell'Alaska Range a circa 1200 m, il Rainy Pass. La parte più difficile, e lui è passato. Ha ancora qualche centinaio di km per
concludere questa avventura. E' un vero samurai, non sta cercando il risultato, ma sta arrivando ugualmente... riuscire al primo tentativo. A pochissimi è riuscito. Il mio più grande rispetto Seba.
Ciao a tutti
Mauri
Whitehorse 6/3/2010
Mr.Doro?
Alle 8 in punto questa mattina si è presentato all'ingresso dell'ostello un omaccione con i baffi e berretto di pelle con il pelo che sporgeva dalla faccia. Anche il suo Pick Up blu scuro era gigantesco, dentro il mio scatolone si perdeva e sembrava piccolissimo e pensare che quando sono in aeroporto sembra uno scatolone gigantesco e non ci sta mai da nessuna parte. Evviva, è arrivata, la mia bici è arrivata. Tutti dormono ancora, ma io sono già all'opera e non vedo l'ora di metterla in strada. Oggi sabato andrò in città per cominciare a prendere rifornimenti e tutto il necessario per la mia autonomia. Oramai sono 3 i giorni che sono bloccato qui in casa, ancora un ultimo antibiotico e speriamo bene. Oggi la giornata è coperta e c'è vento. Vi racconto dopo cosa ho comperato.
Ciao a presto Mauri
Whitehorse 7/3/2010
Ooh! .... Finalmente mi sono mosso, ho preso possesso del mio mondo, di movimento, di fare, di curiosare, di essere presente e partecipe al mio sogno. Stare chiuso in casa ed aspettare inerte e sentire il passare del tempo sulle spalle e nella testa annulla completamente, anche pensare quasi è fatica. Per me poi, abituato al continuo progettare e cercare di realizzare, stava diventando una sofferenza.
Ma mi rendo conto, ci sono persone che nella loro vita non hanno mai azzardato (perché anche non potuto) le realizzazione dei propri sogni e si sono abituati a questo ritmo ripetitivo a dir la verità molto naturale. Per l'uomo c'è stato per tantissimo tempo il solo bisogno di sopravvivere all'evento vita, lo svegliarsi, la ricerca disperata di cibo e la necessita di scappare e difendersi, aspettare la notte e dormire era la sola cosa sensata, non era necessario pensare e sognare. I tempi sicuramente sono cambiati e abbiamo cominciato a ricevere e conoscere le emozioni e piano piano anche a non vergognarsene (non del tutto, ci vorrà ancora molto tempo). Sfruttiamoli questi doni, nutriamoci di gioia.
Ora pedalo in città, il rumore dei copertoni sull'asfalto, sentire la sella comincia a far parte del mio stato e l'animale che c'è in me comincia a svegliarsi e mi richiama alla focalizzazione del mio progetto. E' stata una giornata dedicata alla ricerca di cibo da portare con me in spedizione, poi la visita ai vari negozi di sport, che bel giocattolo per noi sportivi. Tutti questi articoli colorati e tecnici attirano e incantano, filtri per acqua, tende, giacche, coltelli, GPS, binocoli, scarponi, mamma mia che luna park. A dir la verità il mio pensiero fisso di oggi era quello di cucinarmi una bisteccona al sangue con verdura cruda e pomodori, detto fatto. E per questa sera due bei filetti giganti di salmone....Mmmmm buon appetito. Domani farò una perlustrazione verso alcune piste lungo il fiume Yukon perché proprio abbandonare l'idea di non farle mi spiace moltissimo. Vedremo.
Ciao e buon risveglio.
Whitehorse 8/3/2010
Oggi 35 km, in relax, assaporando il paesaggio del grande nord. Ho pedalato anche sul fiume Yukon, una bellissima sensazione e poi oggi il cielo era limpido e il sole brillante. La temperatura troppo alta dicono, in questo periodo, infatti si vedono moltissimi ghiacci rotti sul fiume e buchi giganteschi.
Mi sconsigliano proprio di pedalare sul fiume anche se i buchi si vedono molto bene anche da lontano. Questa non è una gara e non c'è nessuno avanti che verifica lo stato della pista. Ok va bene cosi, e decido per scaramanzia di comperare un termometro anche se so che la prossima settimana le temperature notturne non supereranno i meno 16° C. E poi mi sono buttato in un Fast Food, mi sono preso un hamburger gigante con patatine, una schifezza assoluta che però desideravo da tempo. Domani mattina partirò e seguirò la strada principale verso Dawson city. Sono stracarico di cibo e sono sereno. Spero di riuscire a comunicare qualche notizia, e tenervi aggiornati, con il mio satellitare. ciao Mauri
PellY Farm 10/3/2010
10 marzo 2010 19.47
Mi trovo a PellY Farm dal mio amico Dale.
Qui ci sono stato già 2 volte nell'inverno del 2005 e nella primavera del 2007 ritornarci e' una grande emozione, ci sono arrivato questa notte alle 01.30 10 marzo. Dopo una grande pedalata di circa 250 km 2000 m di dislivello di cui gli ultimi 50 km su neve e ghiaccio in 6 ore. questa notte ho fatto un gran caduta in discesa, viaggiavo con la mia frontale e all'ultimo momento non ho visto un albero che era caduto di traverso sulla pista, ho fatto una gran botta.
Sono rimasto a terra diversi minuti con la gamba incastrata sotto il carico della mia bici di 55 kg fatti di cibo vestiario sacco a pelo tenda fornello benzina. ma un dolore grossissimo arrivava dal torace, ho urtato le costole contro l'albero e ora mi fanno male specialmente quando respiro forte. Il primo giorno ho pedalato per 110 km fino a Braeburn seguendo la strada principale e attraversando laghi, costeggiando il gigantesco fiume Yukon dove si intravedono grosse aperture nel ghiaccio e anche delle foreste bruciate. che impressione pedalare per decine e decine di km con a fianco questi lunghi bastoni neri che un tempo erano abeti.
Partirò domani mattina presto verso il nord e probabilmente farò circa 150 km fino a Stewart Crossing.
Il tempo e' molto buono e le temperature sono appena sotto lo 0 circa 3 - 5 meno.
Il vento non mi ha dato particolare fastidio anzi spesso era di spalle.
Un caro saluto a tutti, Mauri
11/03/2010
Oggi Maurizio, dopo una sosta a Pelly Farm dove ha ritrovato il suo amico Dale, ripartirà verso Stewart Crossing. La distanza da percorrere sarà circa di 150 km e lì pernotterà per poi riprendere la strada verso Dawson City. Ci sono arrivate delle foto di Maurizio fatte la mattina della partenza da Whitehorse, come sempre, un Maurizio sorridente e pieno di entusiasmo pronto per la sua nuova avventura.
Dawson City 12/3/2010
Buon giorno. Sono arrivato a Dawson City dopo aver pedalato per 150 chilometri di cui 50 in una bufera di neve con un vento molto fastidioso. La mia bici è stracarica, 55 chili, ma questo mi permette di essere in completa autonomia e di poter fronteggia "qualsiasi inconveniente". Sono abbastanza provato perché in 4 tappe ho percorso quasi 650 km. Ho gli occhi che mi si gonfiano.
Domani comincia la vera avventura sulla Dempster Highway, 800 km che mi porteranno a Inuvik oltre il circo polare artico, sto lacrimando solo a pensarci , sarà un' esperienza unica e le emozioni sono indescrivibili. Oggi la temperatura, sulla strada, era solo meno 10° C, ma mi hanno detto che sulla Dempster Highway c'è molta neve e freddo con un vento che può arrivare ad una velocità di 80km/h , il famoso Blizzard che potrebbe accompagnarmi per diversi giorni.
Ieri ho dormito in una roulotte abbandonata. Mamma mia mi sembrava di stare in un frigorifero, ma pensavo che così mi stavo abituando alla Dempster.... brrrrrr.....
Nei miei pensieri ci sono ancora i ricordi della visita che ho fatto due giorni fa al mio amico Dale a Pelly Farm. Era la terza volta. Che ricordi indelebili della mia vita, spero un giorno di portare mio figlio Andrea in quei posti. Grazie Dale
In questo momento mi trovo a casa di amici a 10 km da Dawson City. Qui è quasi mezzanotte, ma qualche cosa di sostanzioso da mangiare non mi dispiacerebbe. Vedo cosa hanno in cucina, poi subito a letto al caldo.
Ciao a tutti Maurizio
15/3/2010
Questa mattina, attraverso il suo satellitare, Maurizio ci ha comunicato di aver quasi percorso metà della Dempster Highway. Il viaggio procede bene e la temperatura non è scesa sotto i meno 15/18 gradi C. La telefonata è stata breve perché, giustamente, non voleva consumare le batterie del telefono, ma abbiamo capito che stava cercando qualche cosa per poter dormire almeno questa notte un po' al caldo. Appena riceveremo notizie più dettagliate le pubblicheremo, sicuramente da Inuvik Maurizio riuscirà spedire nuovi reportage e foto.
Queste nuove foto sono state fatte nel tratto da Whitehorse a Dawson City.
Lo Staff Naturaid.
Fort McPherson 19/3/2010
Ho oltrepassato il confine con lo Yukon ed ora sono nei Territori del Nord-Ovest e precisamente mi trovo nel piccolo villaggio di Fort McPherson di circa 800 abitanti, quasi tutti indiani, occhi e capelli nerissimi. Qui è assolutamente bandito l'alcol e non si trova traccia di una birra, ne avevo proprio voglia. Sono passati 5 giorni e ho fatto 550 km e 6000 m di dislivello da quando sono partito da Dawson City per percorrere la mitica Dempster Highway (1200 km totali circa da Whitehorse).
Devo dire proprio la verità, appena partito quel giorno solo sulla strada l'aria che mi tagliava il viso, la temperatura vicino ai meno 30 gradi, il carico della bici.... ho avuto per un attimo tanti pensieri. Sono passati quasi 5 anni che non affrontavo delle temperature di questo tipo e proprio qui nello Yukon, non me le ricordavo così avvolgenti e devastanti, non puoi fare nulla se non già di collaudato e provato, niente al caso...non si può cercare a caso la pinza o il biscotto o un numero di telefono. Il movimento deve essere sicuro e veloce.
L'esperienza principale l'avevo fatta in Alaska, ed avevo anche sofferto, ma era nata in me quella grande spinta e il richiamo verso in Grande Nord, quello che fa più paura e soffrire.
Per 30 km pedalo lento e ascolto le mie sensazioni e specialmente il carico, qui siamo ancora sul comodo ed elegante. Ancora non sento la fatica, il desiderio di lavarmi, la fame, il desiderio di un posto comodo per dormire, perché ci sono stato fino a poche ore fa. Ci sarà tempo per quello. Voglio diventare un selvaggio, un primitivo, che lotta per ogni cosa per passare indenne un altro giorno. Ma è la cosa per cui sono arrivato fin qui, il mio desiderio è entrare nella tana più profonda di questo animale.
lLe prime informazioni le ricevo da un poliziotto donna che si ferma con la sua gigantesca Jeep. Poche domande e pochi consigli, hai la tenda e un buon sacco a pelo? Ci sarà freddo ma fai molta attenzione al vento, quello si che è pericoloso. Quest'anno ci sono tanti lupi, ma non sono pericolosi perché ci sono tanti caribu. Buon viaggio.
Questa pista la conosco già perché l'ho fatta un'estate di 3 anni fa e mi sono fatto una sorta di tabella di marcia.
La giornata cambia, è coperta e nevischia di tanto in tanto, la temperatura si porta a -10 e già mi sembra di aver caldo.
Pedalo fino a sera fin quando non raggiungo una sorta di campeggio dove c'è una baracca aperta, la riconosco.
So che c'è una grande stufa, purtroppo non c'è legna. Almeno sono al riparo dal vento sciolgo la neve con il mio fornello e mi preparo la cena con cibi disidratati.
La temperatura scende ma sto bene nel mio sacco piuma pesante.
Un buon inizio 105 km e 1100 m di dislivello.
Il secondo giorno è un altro tappone di piccole salite e colline spacca gambe ed alla fine mi faccio125 km e una bella dose di vento contrario che mi ha fatto sudare e spingere spesso la bici. Le temperature sono alte e arrivo anche a -3 gradi. Lungo la strada passa qualche camion e qualche macchina, mi dicono che le temperature non sono normali in questo periodo, sono troppo alte e qualche orso si è pure svegliato. Mancava solo quello. Si svegliano perché nella tana sulle montagne dove dormono la neve sciogliendosi bagna il loro giaciglio e loro devono andare a cercarne un altro, sono nervosi e molto affamati.
Al secondo campo nella baracca trovo la grande stufa con della legna, purtroppo nulla sulle finestre e sulla porta solamente la zanzariera. Va be sono talmente esausto che mi fa piacere persino solamente un filino di tepore che viene dalla lamiera. Dormo sul tavolone ma prima metto tutto il cibo all'esterno nel cassone di ferro, non mai.
Mi sveglio la mattina che nevica, sono infreddolito e preoccupato perché neve vuol dire spingere e non so quanta ne è caduta. E mentre il ghiaccio nella pentola della sera prima si scioglie, preparo le borse e la bici. Caffè caldo, biscotti, miele, cioccolata, polline, che lusso.
La neve sulla pista non è molta, ma pedalo con fatica con il nevischio che mi viene contro, spingo e pedalo.
Alcune grandi macchine spazzaneve, mi superano con un gran polverone, ma cercano di tenere in buone condizioni questa pista che è di passaggio ai grandi camion, ne vedo almeno 4-6 al giorno.
Moltissime colline, e chi conosce questa pista lo sa, non c'è respiro neppure in discesa, devo rallentare al massimo e stare attento perché il fondo è ghiacciato e si rischia di cadere.
Continuo finché non trovo uno spazio largo e lontano dalla strada (di notte passa qualche camion anche con la nebbia o la neve). L'unico dopo 96 km e oltre 1000 m di dislivello proprio al tramonto. Uno spettacolo di colori che dura moltissimo.
Purtroppo non posso stare troppo a guardare e coccolarmi perché la temperatura e il vento mi fanno fretta.
Mi infilo dentro il sacco piuma quasi vestito facendo attenzione che non mi voli via qualche cosa e tengo su lo zainetto dell'acqua che indosso sotto le maglie. Porto dentro anche gli scarponi che metto in un sacco di cellophan. Mangio rinchiuso dentro il sacco qualche barretta e frutta secca, questa è la mia cena, ma non ho molta fame, ho voglia di tanto calore.
Ho dormicchiato scomodo e di fianco, non potevo schiacciare certo lo zainetto, ma la gioia è che mi sono sdraiato per intero e mi sono proprio abbandonato, le ginocchia cominciano a farmi male.
Quando apro il sacco piuma uno schiaffo gelido mi prende in pieno volto. Il mio termometro è oltre i meno 25.... eccome se li sento. Tremolante faccio le cose velocemente e tiro ben strette le cinghie del sacco a pelo.
Non ho molto da preparare se non sistemare bene il mio berretto e la mascherina sul volto per ripararmi dal vento.
Cammino subito in salita, che fortuna almeno mi scaldo e i piedi sono già in temperatura.
Per tutto il giorno la temperatura oscilla intorno ai meno 20 gradi e di tanto in tanto mangio un po' di carne secca e noccioline salate.
Non mi curo molto del cibo e di me stesso e se bagno il materiale che ho attorno, il mio punto tappa è dopo appena 80 km. Sicuro e confortevole a Eagle Plains, un hotel a 120 dollari a notte.
Mi ci vuole tempo per recuperare energia e assaporare un bagno caldo prima di una cena a base di carne e verdure cotte.
Alle 8.00 sono già in discesa quella lunga subito dopo l'hotel.
La temperatura è meno 28 gradi, ma poi durante il giorno arriverà a meno 10 meno 5, si sta bene.
Pedalo con fatica perché il fondo è coperto da qualche centimetro di neve ma la giornata e' splendida e i paesaggi unici, colline e montagne attorno sono candide e fanno da cornice quando si apre un paesaggio infinito di tundra. L'occhio non riesce a capirne la distanza da tanto grande è questa dimensione, sembra non muoversi mai e quella collina sia sempre troppo lontana irraggiungibile. Come un grandissimo e lunghissimo serpente la Dempster si insinua tra queste valli, a volte scompare per riapparire su alcune colline oltre quella che sto facendo a piedi. Raffiche di vento mi fanno vacillare quando sono sulla sommità della collina e a volte mi spingono di prepotenza in discesa.
Supero il circolo polare artico e in quel momento non c'è un soffio di vento il cielo è azzurro e tutto attorno è splendente e bianchissimo.
Il mio punto di arrivo è una sorta di campeggio, ma quando ci arrivo, non trovo il passaggio e provo ad arrivare alla baracca camminando con oltre 50 cm di neve. Rinuncio dopo 10 min, devo sprecare troppe energie per poi trovare che cosa? Una baracca infreddolita?
Decido di proseguire finché posso anche durante la notte.
Fortunatamente la temperatura è sopportabile e non va oltre i meno 10 gradi.
Continuo a pedalare con fatica e a spingere, la gioia di sentire le gambe libere in discesa e poi si ricomincia.
Il tramonto è meraviglioso, illumina di arancio una serie di colline bianchissime proprio mentre ci passo sotto per circa 5 km. Giochi di ombre e colori che sembrano non amalgamarsi mai. Ad un certo punto una lunghissima salita mi toglie da tanta bellezza e la mia attenzione va al mio fiatone e all'attenzione di 2 camion che devo avvertire della mia presenza con la mia piccola pila frontale, che finché c'è un briciolo di visibilità non accendo.
Sto per arrivare a fatica sul colle, c'è nebbia e vortici, ma intravedo diversi segnali che al toccare del raggio luminoso della mia lampada sembrano riflettere come un lampo luminosissimo, indicano il confine tra lo Yukon e i Territori del Nord Ovest, man mano che salgo raffiche mi assalgono e poi sempre con più violenza, avevo pensato di bivaccare qui vicino a qualche cartello, ma sarebbe già un grossissimo problema aprire il sacco a pelo.
Avanti.
Sistemo al meglio la maschera sugli occhi e quella sulla bocca per poi stringere il cappuccio intorno al mio viso perché non ci sia uno spiraglio per il vento che possa raggiungere il mo corpo, sono costretto a fare questo velocemente e senza guanti che già in un attimo le mani mi scottano e bruciano dal dolore. Infilo le mani velocemente nelle moffole di lana cotta dove avevo già preparato delle tavolette riscaldanti della durata di 5-7 ore. (Utili in casi come questi dove la mano trova subito tepore).
Per almeno 2 ore sono costretto a questa battaglia per resistere a questi strattoni violenti che in alcuni casi mi hanno buttato a terra e tentato di strapparmi la bici e il carico per buttarlo nella scarpata. La bici la devo tenere sempre a me, è la mia scialuppa di salvataggio, se la perdessi sarei perso pure io. In una manovra è volato un guanto, lo vedo si è fermato nel cespuglio, a pochi metri dalla strada. Ma uscire dalla strada vuol dire essere già a più di 50 cm di neve soffice. Lo devo assolutamente prendere... che errore madornale.... giocavo con questa battaglia, un gusto adrenalinico che distrae che rende irrazionale.... mi ci tuffo su letteralmente buttandomi sul cespuglio e nella neve polverosa. Ce l'ho.
Errori che non mi posso permettere, non ho forse imparato negli anni a fare queste avventure?
Perché a volte gioco come un bambino?
Nebbia, buio che cresce, ora sono costretto a continuare con il faro acceso e vedo solamente piccolissime frecce di neve che mi vengono addosso, ma non le sento perché colpiscono la mia maschera.
A volte non vedo la strada, sbanda la mia bici, una buca mi fa sobbalzare e il mio battito aumenta dallo spavento. Si rompe tutto!!!
Non mi rendo conto della velocità, della distanza, non distinguo sassi, cespugli, macchie scure.
Cammino spingendo e sono di fianco per contrastare tale violenza (dicono che le raffiche arrivino anche a 150 km orari)
Scivolo in ginocchio, mi scappa la bici, ma tengo per la manopola. Il ghiaccio di certo no mi aiuta.
Qui non posso fermarmi. Non mi sono neanche posto questa domanda. Dove?
Ma la difficoltà grossa sta nelle discese, una pressa su tutti i lati, avanti dietro in fianco.
Mi sembra di correre all'impazzata da un trampolino, tiro il freno e sono seduto sulla canna della bici con le gambe divaricate e gli scarponi che cercano un qualsiasi piccolo appiglio fatto di ghiaia sporgente o ghiaccio raggrumato per rallentare questa discesa.
Il carico mi sbilancia, ma sono attentissimo e sudo quasi. Il corpo lavora per difendersi, l'uomo non vincerà mai contro la Natura, vincerà si la Sua battaglia, ma con la Natura al massimo farà sempre pari.
Non ho paura di essere qui solo, anche se è una sensazione quella di sentirsi soli al mondo veramente paurosa. L'ho voluto io, e questa solitudine l'ho ricercata ed è ben diversa da quella che a volte si vive in mezzo agli altri....quella uccide l'anima.
In questo vortice, di spaventi, controlli, sobbalzi, soste per riprender fiato, a lontano intravedo un fascio soffice di luce gialla che accarezza la gola della montagna. Non capisco, quasi mi spaventa, aurora boreale? Così bassa? Un riflesso? Di cosa? Poi la nebbia attutisce e deforma luci e immagini finché dopo qualche decina di minuti fatta una curva salta fuori un riflettore e il rombo di un generatore che fino ad un attimo prima per il fischio del vento veniva confuso con un rumore naturale. Un accampamento di lavoratori. Sono le 23.30.
Busso dove c'e luce. Un uomo a petto nudo mi fa entrare e poi mi indica sfregandosi gli occhi che posso dormire nella baracca accanto.
E' riscaldata e non tira vento.
120 km e 2000 m di dislivello.... abbastanza per sentirsi stanchi.
65 km mancavano per arrivare qui alla scuola di Fort McPherson, dove questa notte dormirò al caldo pensando ai prossimi 2 giorni per arrivare a Inuvik, una passeggiata in confronto a ieri sera. Tutto il tempo a riflettere di quello che era successo, la fatica e il pericolo che mi ha accompagnato perpetuo come il fischio in quella tormenta.
...In una sosta ho messo in bocca una manciata di piccoli bon bon al cioccolato, di quelli colorati che in certe situazioni sembrano risolvere con il dolce il buon umore, il piacere di una distrazione, ecco mentre ne masticavo uno mi è arrivato al palato prima e all'olfatto poi il profumo di ciclamino, per poi elaborare e passare alla mia mente che ha rispolverato una situazione rimasta intrappolata in qualche anfratto della mia materia grigia.
Ero per funghi con mio padre, avrò avuto 8-10 anni ma già da qualche anno mio padre mi portava per funghi. Lui grande appassionato a volte tornava a casa con grandi cesti ricolmi di funghi.
Nel bosco profumo di erba e torba bagnata, ed io che raccoglievo qualche ciclamino. Corro da mio padre..."questi li portiamo dalla mamma"....si è chinato e mi ha dato un bacio dicendo...."tienili stretti, non perderli".
Ciao a tutti e grazie per i vostri messaggi. Maurizio
Tsììgehtchic 20/3/2010
Oggi ho fatto solo 60 km e mi sono fermato nel villaggio di Tsììgehtchic. Pensavo di arrivare a Inuvik in 2 giorni ma non ci riesco, il vento è contrario e mi fanno male le costole, forse ho ridato qualche colpo cadendo l'altro giorno di notte nella tormenta. A respirare mi fanno male, e poi sono veramente rovinato, stanco come nella gara in Alaska, ho una faccia.
Ora sono nella piccola scuola del villaggio di 150 persone e 22 bambini. Appena arrivato mi sono buttato in cucina e mi sono fatto due piatti di pasta e due di piselli, e poi mi sono infilato nel sacco a pelo a dormire. Tra qualche ora mi cucinerò della carne, una bisteccona che ho preso in un piccolo store del villaggio. Ho una fame e un freddo dentro che continuo a pensare a una grandissima sauna, fortuna che ora per arrivare a Inuvik il percorso è quasi piatto solamente che c'è un vento freddissimo e dovrò sicuramente fare un bivacco nella neve, ho la tenda con me ma preferisco fare velocemente e lavorare poco al freddo. Qui finalmente mi sono fatto una doccia e quasi mi addormento dentro. Quest'anno dicono ci sono un sacco di lupi affamati in branco e mi hanno consigliato di tenere un accendino sempre pronto perché hanno paura del fuoco. Hanno trovato poco cibo quest'inverno. Ma dovrebbero essere lontani dalla pista perché passano camion e fanno rumore.
Un caro saluto a tutti Maurizio
Inuvik 22/3/2010
Ciao a tutti. Oggi sono arrivato a Inuvik, grande percorso e meraviglioso sogno realizzato, ora manca la parte più sconosciuta dove solo il nulla ti fa compagnia, 200 km di ICE ROAD, puro ghiaccio verso l'oceano artico.
Dall'ultimo piccolo villaggio ho impiegato 2 giorni per fare circa 170 km con un bivacco intermedio, procedevo lentamente, anche se il percorso era quasi piatto, perché un leggero ma costante vento in faccia mi affaticava. Credo che la temperatura in qui due giorni sia arrivata intorno ai meno 35 gradi. La scorsa notte, quando ho bivaccato, nel mio sacco a pelo avevo un gran freddo alle ginocchia e ai piedi, per non parlare del ghiaccio che si formava sulla piccola chiusura del sacco sopra la mia faccia.
Vi racconto solamente che sul percorso ho incontrato un gruppo di cinesi, (probabilmente molto ricchi), che ho ritrovato a Inuvik e mi hanno pagato 2 notti in un meraviglioso Chalet nel bosco. Sono molto stanco, anche un po' ammaccato dopo una scivolata sul ghiaccio con la bici e mi bruciano ancora le dita dei piedi e delle mani. Forse mi merito un po' di riposo e vado a letto al caldo.
Ciao e ancora un grazie per i numerosi messaggi che mi avete inviato Mauri
Inuvik 22/3/2010
Sono già trascorsi tre giorni da quando per telefono ho salutato Cindy, l’insegnante dei 23 bambini dei circa 200 abitanti di Tsììgehtchic, che mi ha messo a disposizione la scuola e la cucina per la mia sosta notturna ed era a conoscenza di un italiano che 3 anni fa aveva dormito con la sua tenda proprio vicino alla chiesa con vista sull’imponente fiume Mackenzie. Quell'italiano ero io. Era presente nella scuola anche la nipote della signora che il mattino mi ha cucinato uova e bacon. Ora però la signora indigena si e’ trasferita a Yellowknife. E’ stato un bellissimo incontro, io raccontavo e si rideva del fatto che ero ancora li tra loro. Il mondo è piccolo ed ogni persona a la sua porzione, il suo vortice di energia ci prende e ci porta dove noi sentiamo più nostra quella parte di mondo per farci sentire a casa. La sento proprio casa mia, riconosco i vari luoghi, la capanna sul fiume, il vecchio barcone marcio, la piccolo casa di legno con il balcone scuro. Quasi un ricordo di quando ero bambino e mi spiace lasciare queste persone che probabilmente non rivedrò mai più. Che male che mi fa questa frase "non rivedrò mai più". Ha un sapore che vuol dire perdere e rimanere soli. La vita è fatta di prove e qualche persona purtroppo ha subito delle grandi torture.
Due giorni per fare circa 140 km, e giungere a Inuvik. Ci ho pensato ad arrivare in un giorno, ma sicuramente avrei prosciugato la mia anima già provata e sarei arrivato in città di notte mentre tutto e tutti chiudevano le porte per dormire. E poi anche se il percorso era praticamente piano i vari mulinelli di vento mi dicevano che dovevo fare la mia sosta in qualche "campeggio".
Meno 35 gradi di mattina presto che poi sono saliti costantemente a meno 20 e mi hanno tenuto compagnia per molte ore nei piedi e nelle mani, non se ne volevano andare neanche quando pedalavo velocemente per qualche chilometro.
Direi che forse questi ultimi due giorni sono stati i più classici, strada comoda, un po' trafficata, poca salita e soprattutto pochissime curve… ho fatto un rettone di circa 40 km senza una curva degna di esser chiamata tale. Sembravo fermo e non volevo guardare oltre la ruota per non spaventarmi al senza fine.
Dopo 80 km ancora con una bella luce (qui viene buio alle 22:00) trovo un posto fuori dalla pista con neve battuta. Perciò decido di bivaccare e metto anche la tenda perché il vento si sta alzando forte. Faccio un gran lavoro perché la temperature è molto bassa e lavorare per troppo tempo senza guanti è molto rischioso. Ho tutto il tempo per sciogliere la neve e farmi una pasta e del tè caldo da bere nel sacco a pelo.
Sono nella mia "casetta" ghiacciata, non c’è nulla di morbido, tutto diventa più rigido, le plastiche sembrano rompersi da un momento all’altro. Mi infilo vestito nel sacco piuma, ma tolgo lo zainetto perché non ho più acqua e bevo il tè. E’ stata un gran notte, una serenata incredibile e di conseguenza una temperature da brivido, non so dire quanto ma sicuramente oltre i meno 35 gradi (così mi hanno detto dopo). Non ho dormito completamente ma piccole dormite, le ginocchia e i piedi a volte mi facevano male dal freddo. Ero chiuso dentro come una salsiccia ma ogni tanto qualche spiffero passava sul volto e mi svegliava.
Il mattino non ho neanche mangiato ed ho fatto tutto in fretta, perché mi bruciavano le mani e sentivo il freddo nelle ossa. Si, ogni tanto ci penso, chi me lo fa fare, basta è l’ultima volta, poi appena mi allontano da quella situazione, ne desidero una nuova come una calamita che piano piano ti attira.
L’arrivo verso Inuvik mi ha dato calore anche se il mio volto era avvolto dal ghiaccio e a fatica riuscivo a roteare la testa. L’aeroporto, il grande pannello "End of the Dempster high way" tutto famigliare ancora a casa. Mi dirigo subito verso il centro per comperare del cibo da cucinare. Sorpresa!! Mi ritrovo un gruppo di cinesi che si era fermato almeno una settimana prima a farmi alcune foto sulla Dempster. Naturalmente loro non erano scesi dall’enorme gippone ma solamente puntato le loro super camere fotografiche dai finestrini verso la mia figura. Mi sono sentito una preda indifesa, chissà poi cosa racconteranno nei loro salotti quando le mostreranno ai loro amici.
Be ora rivederli venirmi incontro come vecchi amici e farmi i complimenti mi sembrava strano. Poi si è avvicinato il più grosso con un berretto di pelo che nascondeva degli spessi occhiali e mi ha invitato nel loro appartamento di uno Chalet mentre tra una foto e l’altra le loro donne mi hanno preparato degli involtini vegetali al vapore, sbalorditivo in quattro e quattr'otto ero li pronto a mangiare. E chi rifiutava davanti ad un bel piatto condito con salsa di soia?
Ma l’offerta più insolita è che mi hanno offerto un soggiorno di due giorni in un mini appartamento. Era impossibile non accettare.
In ogni caso sarei rimasto qui due notti per mangiare il più possibile e recuperare la miglior condizione. Nonostante tutto il caldo che c’e’ all’interno della stanza sento il mio interno ancora infreddolito, ma probabilmente questo è nulla in confronto a quello che mi aspetterà nei prossimi 200 km di puro ghiaccio sull'Oceano Artico, ad attendermi ci sarà anche il Blizzard, il terribile vento artico che spesso supera i 70-80 km orari fino a raffiche di 150 km.
Sono qui per questo, ho aspettato tanto tempo e sognato, ora è giunto il momento. Pedalare sull’acqua ghiacciata, liscia liscia, quasi trasparente da vederla. E’ un brivido ed un’emozione che sento la notte da qualche giorno.
Oggi ho cambiato i copertoni alla mia bici, è la stessa di 10 anni fa, quella che ho usato in Alaska, ho messo quelli con i chiodini.
Sono pronto. Domani mattina si parte.
Ciao Mauri
22/3/2010
Queste nuove foto inviateci da Maurizio sono state fatte nella scuola e nei dintorni del villaggio di Tsììgehtchic.
Lo Staff Naturaid
23 marzo 2010
In questi giorni passati di grande fatica mentre pedalavo chino e lento su questo fondo difficile molto spesso il mio pensiero continuo e profondo e' andato ad un ragazzo che ho conosciuto in Sud Africa, e a tanti altri ragazzi giovani come lui che si abbandonano alla resistenza e spengono la luce per non vederla mai più.
Mi viene in mente anche qualche articolo a volte scritto da qualche giornalista sensibile verso queste giovani vite che si spengono.
Non si sa cosa passi per la loro testa, noi non ci rendiamo conto, ma sono tanti, troppi i giovani che decidono di darsi scacco matto. Io stesso a volte ho pensato che in certe situazioni sia molto più facile decidere di morire che trovare la forza, l'energia il coraggio di vivere.
Purtroppo oggi e' tutto così facile sembra un gioco fare tutto, dimostrare di avere potere, forza, coraggio, ma poi basta un nulla, un brutto voto, un amore spezzato, un rimprovero..... uscire dal palcoscenico costruito con cura.
Perche?
Nel mondo, la vita e' simile per tutti, scandita dal giorno e dalla notte, dalla fame e dalla pancia piena. Ognuno supera le difficoltà in modo diverso. Qualcuno a il coraggio e la forza di vedere oltre la nebbia, altri non vedono il futuro, non vedono speranze. “Non hanno sogni”.
Questa frase è stata pronunciata e mi e' rimasta impressa all'ostello a Whitehorse, detta da un ragazzo Canadese di Toronto che girava per lavoro. Ha chiesto di me e perché delle mie cose, delle mie azioni.... abbiamo finito con: “io non ho un sogno”. I suoi occhi passavano sui miei come carta vetrata.
Questa sua affermazione mi ha messo a disagio, una frase molto forte dal senso cosi fragile che il mio sorriso, lentamente come fa un sipario alla fine di un'opera, é scomparso dal mio viso tanta era la mia impotenza. La mattina dopo l'ho visto uscire con il suo grande zaino e dopo aver bevuto una semplice tazzona di caffè.
A volte manca l'essere ascoltati.
Cosa aspettarsi da una società che chiede sempre di più, più impegni, più risultati. Arriviamo stanchi la sera e ci buttiamo in internet e togliamo altre ore di sonno. Ma è proprio internet a volte che per alcune persone è l'unico modo di vivere una vita propria......virtuale. Quella vera è nascosta. Non c'è più tempo per il gioco. Dobbiamo creare realtà digitali nell'ansia di essere i migliori e per esserlo dobbiamo partecipare a tutti quei giochi che illudono e ai reality che una volta finiti ci lasciano nella tristezza.
Ma da bambini non dovevamo imparare ad essere felici?
Ed allora perche questi giovani si tolgono la vita senza ancora conoscerla? Eppure sembravano persone normali, cosa mancava, cosa volevano? forse bastava chiedere loro “come stai?” per sentirsi amati.
Ma non abbiamo più tempo neppure per questo.
Mauri
26 marzo 2010
Questa mattina con una telefonata, alle ore 3:30 italiane, Maurizio ci ha comunicato di essere arrivato al villaggio di Tuktoyaktuk sull' OCEANO ARTICO dopo aver pedalato per 200 km sulla ICE ROAD. La temperatura era in quel momento a meno 35 gradi ed era molto stanco e provato, ma felice ed entusiasta per aver concluso questa sua nuova avventura. Aspettando un suo reportage, dove ci racconterà di questi fantastici ultimi 200 km, possiamo ammirare queste foto che è riuscito ad inviarci.
Grazie Maurizio ed un grande abbraccio dallo Staff Naturaid
Tuktoyaktuk 26 marzo 2010
Ho appena finito di fare colazione, non spaventatevi, due salsicce, un hamburger, del bacon, con pane tostato e succo d’arancia, naturalmente per 2 volte (chi mi conosce lo sa).Ho veramente tantissima fame, ieri sera mi sono proprio buttato in mensa e ho fatto il pieno di cibo sul mio vassoio e ne ho portato anche in camera.
Ora sono in attesa di incominciare in mio lungo e interminabile ritorno a casa, carica, scarica, hotel, giorni di attesa, ticket voli, dogane, controlli. Ma devo dire la verità che non vedo l’ora di ritornare a casa e stringere forte la mia famiglia.
Ho tanto bisogno di loro.
Ieri sera alle 7:30 sono arrivato al villaggio di Tuktoyaktuk, o concluso la mia Avventura, dopo 16 giorni, 14 le tappe e 2 di riposo per circa 1600 km e 12.000 m di dislivello. Sono veramente provato, ancora una volta mi rendo conto del perché al nord si mangia moltissimo, è il carburante necessario per far fare al proprio corpo una qualsiasi cosa. E’ assolutamente necessario per sopravvivere. Io ero costretto a mangiare velocemente solamente biscotti, cioccolata, frutta e carne secca e alla sera qualche busta di pasta, ma alcune volte mi buttavo direttamente nel sacco a pelo appena mi fermavo per ripararmi dal vento e non mangiavo o mangiavo qualche barretta dentro.
3 giorni per percorrere questa incredibile ICE ROAD, la strada di ghiaccio più lunga al mondo, circa 200 km di pura acqua ghiacciata, prima su quella del delta del fiume Mackenzie, grande quanto la Svizzera, poi su quella dell’Oceano Artico costeggiando la costa. Un’esperienza unica, forse tra le poche e ancora tra quelle veramente speciali nel nostro 2010.
Ho vissuto emozioni ed incontri che sembravano rimasti nei vecchi libri di una volta, di quelli che li leggi e speri che quella storia o situazione un giorno ti possa capitare. Da bambino ero attratto dai racconti e storie di Giulio Verne, e sognavo anch’io di esserci lì ed esplorare nelle viscere della terra. Sognavo spesso e forte quando ero piccolo, e il sogno continuava anche a letto nel sonno.
Non lo so, forse io sono stato il fortunato, il prediletto in questa parte del viaggio.
Il leggero vento gelido a -20, -25 durante il giorno e’ stata la costante di questa ICE ROAD, ma il cielo quasi sempre terso e splendido, forse qualcuno voleva vedermi bene da lassù.
56 km piegato leggermente in avanti e pedalata lenta il primo giorno.Massima velocità 12 km orari, per il resto si pedala 8-9 km orari
Sono le 18:00 e voglio fermarmi, sento che il mio bisogno è quello di prendermi del tempo per me stesso, ho bisogno di vedermi con gli occhi della mente. Scendo e cammino voglio sentire sotto i miei piedi quest’acqua ghiacciata che 3 anni fa pagaiai nel mio viaggio in kayak.La temperature si fa più rigida, ma la camminata scalda i miei piedi.
E’ passata qualche macchina oggi ed un paio di camion, ma ora stanno sbucando dalla mia sinistra 2 motoslitte e saltano sulla grande strada ghiacciata.
Si fermano e velocemente mi dicono che mi hanno visto questa mattina e che tra un paio di curve c’è la loro Cabin, se voglio posso stare da loro questa notte.
"Dentro c’e molto caldo", e’ la loro parola magica.
Ok arrivo.
10 minuti, esco dalla pista seguo le loro trace e salgo sulle sponde del fiume dove si trova la loro Cabin.
Ahhh, che spettacolo, hanno già acceso la stufa e il tè è pronto. Mi devo spogliare completamente e addirittura aprono la porta per il troppo caldo.
Sono nella casa di due Trapper indigeni, si chiamano Roger e Frank.
Loro sono qui da un mese e cacciano, mettendo speciali trappole di ferro sotto il ghiaccio, piccoli roditori pregiati per scuoiarli e venderne la preziosa pelliccia.
Frank ha 53 anni ed è il più esperto, e mentre Roger prepara la zuppa per la cena, mi dice che fa questo lavoro da quando era giovane, è una tradizione, lo faceva suo padre, suo nonno e ancora oltre. Ma ora gli animali scarseggiano e non si guadagna più come una tempo. A Inuvik gli pagano 20 dollari a pelliccia.
D’estate mi dice lui caccia sull’oceano con l’arpione anche le balene beluga, per poi essiccare la carne e venderla.
Roger ci chiama a tavola, dobbiamo mangiare perché alle 20:00 si esce con le motoslitte verso il delta qualche ora per controllare una decina di trappole messe la mattina nei piccoli laghetti ghiacciati.
Sono entusiasta di questo invito importante, ed ho grande rispetto per queste persone che fanno un lavoro che viene dalla storia dell’uomo.
Mi danno un grosso e pesante giaccone rosso e mi sento pieno di energia essere lì con loro sulle motoslitte mentre ci muoviamo tra i cespugli con il vento gelido in faccia verso le trappole
Loro ricordano i posti, non hanno bisogno del GPS, e sono riconoscibili, perché sono delle montagnole con piantato un bastone.
Sono emozionato sto vivendo una realtà che forse qualche volta a scuola da piccolo, la maestra ha raccontato parlando degli eschimesi.
Siamo arrivati sul posto e Frank si dirige verso la prima montagnola.
Con una piccola pala scava il primo strato di neve soffice fino al tappo di ghiaccio dove è fissata la trappola. Scalpella tutt’attorno al tappo per toglierlo intero senza romperlo.
Ecco il buco nel ghiaccio al limite dell’acqua. Si toglie il guanto ed immerge la mano tirando il pezzo di catena che fissa la trappola al ghiaccio. Nulla, è tutta sporca di rametti e muschio. La recupera tutta e la pulisce per bene con le mani nude, la ricarica e la deposita delicatamente sul bordo dell’apertura nel ghiaccio. Pulisce attorno e bagna la neve con la piccola pala. Rimette il tappo e lo copre con la neve bagnata precedentemente. Tutto a mani nude per fare un buon lavoro. Poi arriva Roger e con il badile rifà la montagnola con la neve fresca. Lo aiuto anch’io.
Nel frattempo Frank si asciuga le mani con uno straccio. E' così per tutte le tagliole. E’ un lavoro lungo e bisogna farlo in fretta, Frank suda persino e si toglie il cappello.
Alla 3 tagliola c’è il piccolo ma pregiato roditore. Sul volto dei due Trapper non c’è segno di felicità o gioia. Solo grande impegno e rispetto per un lavoro da fare bene che arriva da lontano.
7 trappole, 2 prede. Poca roba.
Si torna velocemente, mentre con gli occhi lacrimanti e appannati dal vento gelido ammiro il tramonto nel suo rosso di fuoco.
Alle 24:00 stiamo mangiando sul piccolo tavolo scolpito da coltelli negli anni, una zuppa con lepre fresca e scuoiata in serata, caduta in altre trappole messe nel pomeriggio.
Una preghiera nella loro lingua e sono lì in piedi anch’io con gli occhi in raccoglimento. Poi poche frasi, ci passiamo le spezie per la zuppa, gesti che uniscono e di cui l’uomo ha bisogno per non sentirsi solo. E’ stata una giornata dura per tutti.
La stufa ha fatto il suo lavoro in modo superbo donando il calore a tutta la stanza ed io mi butto su un materasso a terra sotto un gigantesco piumone in un sonno profondo.
Ciao Maurizio
Tuktoyaktuk 27marzo 2010
Abbiamo dormito tutti fino a tardi, ci voleva. Alle 10:00 ci siamo salutati con grandi pacche sulle nostre giacche e un forte abbraccio. Io ero commosso e nella potente stretta sentivo la loro forza ed energia antica. Noi tutti abbiamo bisogno di questo genere contatto, il nostro corpo a bisogno di sentire la vita di un’altro corpo che ci accomuna su questo pianeta. L’uomo e’ vivo quando non si sente solo. Nel nostro mondo oramai ci stringiamo solamente la mano e anche quella per affari e spesso di sfuggita e senza anima. Morta. Siamo poveri di amore, poveri nel darlo e di conseguenza poveri nel riceverlo.
Il mio pensiero corre lento sul ghiaccio, pensieri sulla mia esistenza, tante domande….. risposte lente e poche. La maschera sugli occhi ogni tanto si appanna, e si bagna di lacrime, mi guardo attorno, il deserto bianco parla a voce alta: “sono qui per te”. Io piccolo in mezzo a questa immensità di potenza primordiale unica.
Vivo in uno stato di ipnosi per ore, non mi accorgo del tempo e dei chilometri che passano nelle mie pedalate.
Avanzo lento e continuo, qualche volta la bici scivola sul ghiaccio o sobbalza su qualche spaccatura larga sul ghiaccio, sbando su qualche raffica di vento laterale. Sono caduto un paio di volte e rimasto a terra steso qualche minuto. Che serenità in questo riposo mentre guardo in alto, sempre pù in fondo, in fondo l’impalpabile cielo azzurro. Dormirei.
Non sento quasi neanche il rumore da come sono coperto e dal vento, un nuvolone bianco. Di rado passa qualche camion e grossa 4x4 di lavoratori. Un gippone rosso si accosta.
Un grosso lavoratore canadese dal viso generoso con lineamenti dolci mi chiede se ho bisogno, mi offre del caffè caldo e succo di pomodoro. Butto giù tutto in un attimo. Sono bastate un sorriso, il rumore di poche parole e per un attimo mi sono assentato da questo luogo estremo.
Ritorno a testa bassa con in bocca ancora il sapore del succo di pomodoro e il rumore fortissimo dello scricchiolio dei miei copertoni che artigliano sul ghiaccio vivo.
E’ stato un bel fastidio portarli con me perché sono ingombranti e pesano qualche chilo, ma se non avessi avuto questi copertoni chiodati non sarei riuscito a pedalare su questa ICE ROAD.
Ogni tanto mi fermo, sento la necessita di mettere i miei grossi scarponi a contatto con il ghiaccio. Ho il tramonto a sinistra. Oramai ho passato da almeno 20 km Lucas Point, un container sulla costa che funge da rifugio di emergenza a metà di questa pista di ghiaccio.
E’ stato per me come il richiamo delle sirene di Ulisse. Lo conosco già questo posto. Tre anni fa, quando ero in kayak, mi fermai diverse ore nell’attesa che il vento si fermasse. Stavo bene dentro, ricordo, ho anche schiacciato un pisolino. All’interno c’è una stufa e un divano comodo di fronte, la legna è in abbondanza sulla costa. E’ un piccolo appartamento ben sigillato dove non passa il vento.
Mentre pedalavo lo vedevo sulla mia destra. Uno scatolone bianco gigantesco ben visibile da lontano. Ero attratto ma non ho fatto molta fatica a rinunciare, il samurai che c’è in me sta andando avanti, sa che manca poco e non ha bisogno di altre distrazioni, desidera avere un contatto vivo con la natura selvaggia e i suoi colori. Non posso perdere questa opportunità. Lo so che sarà una notte difficile, ma anche speciale. Andrò avanti finché non ci sarà una “piazzola” che mi accoglierà per la notte.
Eccola dopo 86 km. E’ una piccolissima baia.
C’è una luna a ¾ che crea continui giochi di ombre, anche allucinazioni. A volte vedo cose che poi nella realtà non esistono. Il cielo è limpidissimo e si vedono poche stelle, ma stato veramente unico pedalare questi ultimi chilometri in questa situazione. Velocemente preparare il bivacco, telo impermeabile sotto, poi materassino e sacco a pelo, dentro ci metto del cibo e l’acqua, lampada, il satellitare e la macchina fotografica. Ha dimenticavo, recipiente con tappo per le mie necessità fisiologiche…… chi esce da sacco a pelo in piena notte al fresco? In un lampo ho tolto gli scarponi e la giacca ghiacciata, pure la seconda maglia è ghiacciata. Sono dentro. Preparo diverse buste riscaldanti e prendo tepore chiudendomi all’interno completamente Fuori il mio termometro segnava oltre i meno 25 con un bel “venticello” continuo.
Rimango immobile in silenzio e mi stringo forte nella posizione fetale per almeno una decina di minuti.
Ogni tanto percepisco un leggero boato ed ho l’impressione che qualcuno mi culli. E’ il ghiaccio che si muove e si assesta in continuazione. Nel mio immaginario da thriller, mi vedo inghiottito da una enorme bocca nera ghiacciata. Ma è solamente il gioco e il gusto di crearmi una situazione di paura angosciante essendo li solo nella notte.
Mangio le solite noccioline e carne secca, un po' di biscotti alla cioccolata e bevo del di tè ancora tiepido che mi ero fatto questa mattina a casa dei Trapper. Mi sistemo tra scarponi e materiale e sono già nel mondo dei sogni.
Non passano troppe ore e qualche cosa mi chiama. D’istinto apro velocemente il sacco a pelo e subito piccolissimi frammenti di ghiaccio conditi con aria gelidissima avvolgono il mio viso, ma i miei occhi sono il sensore del mio cuore che comincia a battere all’impazzata dall’emozione. E io a voce alta, “l’aurora boreale….. l’aurora boreale…. che spettacolo….”.
Una improvvisa emozione sugli occhi e non sento più freddo.
Cerco con agitazione la macchina fotografica frugando qua e là nel sacco a pelo. La fisso al piccolo treppiedi, posizione B e comincio a fotografare dal sacco a pelo. Visione a 180 gradi da est a ovest. Non volevo perdermi nessun attimo, volevo immortalare ogni movimento e dall’eccitazione non mi accorgevo che le mani pativano all’aria ed ero costretto qualche volta a ritirarle velocemente quando oramai mi bruciavano.
E’ stato un dono meraviglioso dell’ultima notte del mio viaggio. Dalla piccola apertura del mio sacco piuma sono rimasto incantato per più di un’ora ad ammirare questa superba, dolce e delicata danzatrice verde. Un movimento leggero che veniva e se ne andava per poi apparire in tutto il suo splendore.
Grazie Spirito Del Grande Nord.
Ieri sera dopo qualche ora dall’importante apparizione si è scatenata una bufera rabbiosa che mi ha tenuto in dormiveglia fino al mattino quando a smesso e poi mi sono riaddormentato fino alle 11:00.
In quei momenti ho desiderato tanto essere in un altro posto, ma soprattutto al caldo perché ero ghiacciato specialmente ai piedi e alle ginocchia.
Apro il sacco a pelo e ho un leggero strato di ghiaccio su tutto il materiale, anche sulla bici. Non è volato via nulla e tutto è a posto, perché in previsione di ciò che è accaduto, avevo fissato per bene tutte le cose.
Sono subito in pista, dapprima in marcia per scaldare piedi e tutto il corpo, ho un certo stato di dispiacere perché oramai mancano circa 60 km, ma la giornata è ancora splendida e me la voglio gustare respirando forte il suo profumo di profondo selvaggio. La pista costeggia la costa che in primavera è una zona di laghetti e paludi, sparse qua e là ci sono delle montagnole di terra a forma di cono, ricoperte ora di neve. Sono i Pingo. Una sorta di piccoli vulcani nati migliaia di anni fa. I bacini d’acqua sotto il terreno ghiacciandosi ed espandendosi per volume hanno fatto nascere queste colline. All’interno ora c’è come un crogiolo di ghiaccio perenne.
Ho appoggiato la bici al limite della pista e io sono nella neve fresca ad ammirare questi piccolo vulcani in controluce che si ferma una gigantesca macchina, non so dirvi il modello ma era troppo esagerata. Un uomo molto allegro in maniche corte dal finestrino mi chiede chi sono, da dove vengo e se ho un posto per dormire al villaggio di Tuktoyaktuk.
Sembra molto incuriosito e molto rispettoso di quello che sto facendo. Parla un inglese molto stretto e veloce, a fatica capisco che mi propone una camera in una sorta di campeggio. “Tutto gratis per te”. Mi da la sua carta da visita e mi dice di telefonare al lavoro appena arrivo al villaggio.
Velocemente mi saluta e mi invita più volte a scrivergli alla fine del mio viaggio e mandargli delle foto per e-mail. Osservo meglio il biglietto da visita e mi sembra di capire che è una specie di sindaco del villaggio.
I km scorrono sul mio contakilometri (che ho riparato nei giorni scorsi a Inuvik). Un po' pedalo e un po' cammino, mi piace molto questa situazione, è molto più facile spingere la bici, è leggerissima, pedalare è un grande impegno per i polsi che oramai premono da due settimane, le ginocchia, il fondo schiena e il collo. Non sento neppure il bisogno di mangiare da tanto stanco che sono.
In lontananza riconosco un Pingo gigantesco nelle vicinanze del villaggio e di li a poco intravedo piccolissime il profilo lungo delle piccolo cassette.
Entro nel villaggio, non mi sento emozionato, solamente svuotato ed ho bisogno di sedermi vicino alla prima abitazione, e una piccola chiesa azzurra, anglicana.
Piango e respiro a singhiozzo con la testa tra le mani e i gomiti appoggiati alle ginocchia.
La mia avventura è finita qui in un villaggio dell’estremo nord. Nel nulla più assoluto. Nessuno in giro, mi avvio verso un grosso magazzino, so che lì c’è un telefono.
Spiego la mia situazione al ragazzo che lavora all’interno e faccio chiamare al numero che ho conservato.
Comincio a rendermi conto che mi trovo in una situazione diversa da quella che pensavo. Quando parlo di Merven Gruben, tutti hanno grande rispetto e riverenza.
Arriva un grosso Pick-Up e carico nel cassone la bici. Tre chilometri e sono in un gigantesco campo di lavoratori.
Mi portano negli uffici, incredibilmente tutti sanno già chi sono e cosa devono fare per me. Io sono l’unico che non capisce cosa stia succedendo e cosa sto facendo. Sto entrando in un altro mondo per me sconosciuto in quella zona. Una segretaria mentre mi accompagna in un’altra palazzina mi spiega tutto.
Mi trovo in una delle compagnie di trasporti più grosse del Canada e il suo proprietario è uno dei più ricchi, ed è molto stimato perché molto generoso.
Con me lo è stato mi dicono, ma per loro è la prima volta con uno straniero. Mi mostra il mio appartamento e poi il ristorante mensa che rimane aperto fino alle 22:00
Naturalmente non perdo tempo ad assaggiare tutto, dalle lasagne al pesce, dalle patate alle insalate, ai dolci.
Tre giorni meravigliosi, un sogno grandissimo, una emozione indescrivibile, la mia avventura per la vita che rimarrà dentro per nutrire la mia anima e ne attingerò in suo nettare quando ne avrò bisogno. Ora sono scarico e fragile, si sono stato bravo, forte, caparbio, so fare bene le cose estreme, l'ho imparato nel tempo. Ho messo esperienza all' esperienza. Grande si, ma io credo serve anche un po' di fortuna….. o semplicemente qualcuno dall’alto mi ha accompagnato senza abbandonarmi mai.
Sono stato accolto nella grande terra degli Inuit con un benvenuto “AMIUNI ” e me ne vado ringraziando “TAIKU”
Grazie a tutti voi che mi avete sostenuto con i vostri messaggi, ho sentito il vostro calore e ne avevo bisogno, GRAZIE, un abbraccio e un caro saluto
Ciao Mauri
“LA VITA E’ UN’AVVENTURA”