MAROCCO a PIEDI 1998
13° Marathon des Sables
di Enrico Morvillo
(Pubblicato su TRIATHLETE Giugno 1998)
II sogno di conquistare la nostra "Marathon des Sables" si è avverato. Dopo 10 giorni dalla partenza da Parigi ci siamo ritrovai li, nello stesso aeroporto a salutarci e scambiarci gli indirizzi. Abbracci, pacche sulle spalle, battute, tutti i partecipanti italiani alla gara più dura, affascinante e coinvolgente degli ultimi miei vent'anni, si scambiano sinceri reciproci complimenti. Fatica, sudore, sporcizia, fame ci avevano portato ad una condizione di stretta convivenza. Quasi tutto era in comune, ognuno pronto a dare aiuto a chi ne avesse bisogno. Per sei giorni, la professione, il conto in banca, il look, le performance sportive avevano lasciato il posto al comune desiderio di arrivare in fondo ai 230 km. L'organizzazione perfetta, essenziale e puntuale! Siamo arrivati con i pullman il venerdì sera al primo campo base e da lì abbiamo proseguito su cassoni di camion verso una valle. Appoggiato al retro della cabina di guida, in piedi sulle valigie, potevo vedere in lontananza il campo disposto secondo una logica che poi avrei capito. Cinquanta tende nere in cerchio e da una parte in linea perfetta una serie di tende bianche con un'innumerevole quantità di jeep parcheggiate in ordine e due elicotteri. Ci aspettava un gruppo di persone con una lista preordinata, le nostre tende erano numerate ed i posti tenda di ciascuno già assegnati, come Paolo Zubani ci aveva preavvertito.
Un grande fuoco era al centro dell’accampamento ed un gruppo di suonatori ci ha salutato al suono di tamburi e flauti.
Alle 20, tutti in fila per mangiare, erano gli ultimi tre posti da re che potevamo permetterci.
Il sabato ci siamo svegliati molto presto, tutto era una novità. Iniziavamo a guardarci intorno, uomini e donne di tutti i tipi, di tutte le razze che giravano nell’accampamento; al centro era situato un tabellone di legno dove venivano appuntati i programmi del giorno e i tempi da rispettare. La maggior parte della gente iniziava a fare i primi passi e allunghi sulla piana, altri passeggiavano sulle colline circostanti. La giornata è stata dedicata ai controlli del materiale e a turno siamo chiamati per le verifiche.
Tutto quanto non serve è rimasto nelle valigie che 1'organizzazione ci farà trovare a Quarzazate. Ciascuna squadra ha passato un rigido esame, controlli severissimi pienamente giustificati dal fatto che qui nulla può essere lasciato al caso. Lo zaino era pesantissimo, molto di più che durante gli allenamenti a casa. Sembrava quasi impossibile lasciare qualcosa in valigia perché i controlli del materiale, delle calorie obbligatorie (2000 al dì), degli integratori, erano severissimi. D’altra parte gestire 500 atleti provenienti da ogni parte del mondo giustifica tanto scrupolo.
Tutti e tre avevamo fatto le nostre scelte , preparato lo zaino e consegnato all’equipe medica i nostri certificati sanitari. A sera, andiamo a dormire già in assetto di gara.
Seguendo il Road Book
Si parte!
Dopo una fredda notte che ci ha regalato anche un temporale, alle 6.00 arriva la sveglia. Dalle tende escono tutti assonnati, semi bagnati, con le maglie e i cappelli ancora nuovi macchiati di nero per il colore perso dalle tende bagnate. C’è chi si asciuga le scarpe con un piccolo fuoco, c’è chi prega verso la mecca.
Ancora un poco di festa da parte dei soliti suonatori, si balla e si canta per sdrammatizzare l'attesa.
Alle 9.00 finalmente si parte. La prima tappa è di 24 km è stato solo un assaggio e ci siamo permessi di guardare il paesaggio e fare foto, mentre il serpentone dei concorrenti con palloncini, strani cappelli si snodava su collinette, dune e sassi.
Siamo così bravi che arriviamo al campo quando le tende non sono ancora tutte montate. La prima sera dopo tappa ci è servita per prendere confidenza con le razioni di acqua che ci venivano consegnate e con le buste di liofilizzato che non avevamo ancora assaggiato. E’ stato un buon approccio. Tra noi poche parole e impressioni della gara.
Le nostre spalle portano già i segni lasciati dagli spallacci degli zaini. Guardando il "road book" ci rendiamo conto che il bello deve ancora venire.
La 2a e 3a tappa di 37 e 36 km ci fanno dimenticare cosa è un sentiero, una pista regolare.
Tutto è sabbia con dune, Ietto di fiume o pietraia che richiede grande attenzione ad ogni passo. Capiamo quanto è importante rispettare questa maratona. Ogni 10 km circa c’era un ristoro, acqua, un sorriso e un buco nella cartolina di plastica che si portava al collo e che serviva per ritirare la propria razione d’acqua giornaliera. Si cercava di bere con regolarità, ogni 15 minuti.
Tutti e tre, ma in particolare io e Marco, abbiamo passato periodi di crisi durante queste due tappe. Stanchezza, nausea, gambe pesanti voglia di tornare alla tenda.
II sole è a picco sulle nostre teste, non un filo di vento, il termometro segna 35°C.
Inizia il difficile
Dopo le prime tre tappe, ci eravamo piazzati tutti e tre tra la 70a e la 80a posizione, eravamo molto soddisfatti di essere nei primi cento concorrenti. Il Maurizio era certamente il meno provato, io e lo Zaffa, accusavamo i primi piccoli problemi ai piedi. Negli ultimi 6 km della terza tappa, ci hanno fatto provare l’ebbrezza di correre tra grandi dune di sabbia caldissima. Anche qui si doveva correre con tecnica sulla cresta con la punta dei piedi cercando di essere più leggero possibile. Che differenza tra il dire e il fare.
La terza notte eravamo accampati in una stupenda pianura di sabbia con dune tutt’intorno.
Era una sera importante questa, tutti noi, ognuno a modo suo, cercavamo la concentrazione per prepararsi alla tappa del giorno dopo: ci presenta un menù di 76 km attraverso paesaggi irreali dove ogni tanto compare da dietro le duna una carovana di pastori che presto scompare dietro un'altra duna come un fantasma.
Tutto è silenzio! Abbiamo due giorni a disposizione, ma chi in attesa arriva ha poi più tempo per riposare in attesa della tappa successiva, una maratona da chiudere in un solo giorno. Le partenze sono scaglionate, alle 9.00 vanno i concorrenti dal 60° posto in su ed alle 12.00 partono i top 60. I primi chilometri ci portano ad attraversare una distesa sconfinata di rucola selvatica del deserto e poi ci aspettano sabbia, ghiaioni, salite.Tra noi tre non c’è stata pretattica, tutti eravamo tacitamente convinti che si doveva arrivare in fondo nel minor tempo possibile, coscienti di tutto quello che ancora ci aspettava.
Sul finale ci raggiungono i fratelli Ahansal e viene spontaneo fermarci ad applaudirli. Corrono talmente leggeri che le loro tracce non rimangono sulla sabbia.Sono marocchini, di casa, vinceranno loro, se ha importanza sapere chi vince.
Finiamo stanchi e la giornata di riposo ci vede leccare le ferite e ricaricare le pile per la successiva tappa su distanza maratona.
Il giorno dopo il caldo è terribile, 45° C su quelle dune infuocate, ma riusciamo a finire anche questa fatica. Ricordo la faccia di Zaffaroni quando arriva in tenda. Enormi occhiaie nere, tre bottiglie di acqua in braccio, si appoggia ai paletti della tenda mentre lo aiutiamo a sbendare i piedi. Ce l'ha fatta!
Eravamo molto soddisfatti, la nostra 6a posizione di squadra nella classifica assoluta era stata conservata. A sera, si respira già aria di festa e tra una battuta ed una barzelletta finiamo di mangiare e bere tutto quanto è rimasto negli zaini. L'indomani ci aspetta il traguardo, dopo soli 14 km. Attraversiamo un paesino con strade strettissime che sembrano un toboga. Da destra e da sinistra tante mani si allungano per salutarci. Esaltante! Noi tutti corriamo a più non posso. Presto si arriva su strada asfaltata. Non eravamo più abituati a correre in condizioni "normali", leggeri per lo zaino ormai vuoto e senza ostacoli da superare ad ogni passo.
Sentiamo il profumo del traguardo.
Dietro una piazza compare lo striscione d'arrivo con suonatori e musiche.
Via il cappello ed un ultimo allungo verso Patrik che ci mette al collo la medaglia.
Giusto il tempo per mangiare un pasto freddo seduti sotto un portico e poi via con i pullman che ci riportano a Ouarzazate, ad un albergo a 5 stelle. Tutto è veramente finito. Piscina, TV con antenna parabolica, colazioni pantagrueliche sono nulla rispetto alle forti emozioni che abbiamo vissuto fino a quel momento.
Ci rimane un insieme di fotogrammi e sensazioni che ci fanno capire di aver vissuto un'esperienza veramente unica.