Questo che stò per vivere e' un momento molto particolare per me e voglio ricordare qualche racconto ed emozione del passato.....
Si dice "Chi trova un amico trova un tesoro"
Può capitare però che lungo i corridoi della memoria e nel labirinto della vita si perda questo tesoro, questo anello prezioso che unisce. (L’amicizia).
Solo allora ti accorgi quanto valore aveva per te e quanto spazio occupava nel tuo cuore, questo è quanto è successo a Eris e Mauri; si sono persi per un lungo tempo viaggiando in mondi uguali ma paralleli senza però vedersi e incontrarsi anche se vicini. Poi all’improvviso butti lo sguardo li, in quell’angolo del cuore e lo vedi li sotto i nostri occhi, ma eravamo ciechi a non vederlo?
Raccogliamo quell’anello senza valore ma prezioso, un tesoro per noi, gli soffiamo sopra, la polvere vola via e tutti i ricordi e le emozioni di allora ritornano come una vecchia pellicola che gira al contrario, il tempo è passato, ma per noi è il presente.
Questo è quello che è successo ieri sera quando ho sentito la voce di Mauri al telefono, e abbiamo parlato per ore di tutto e di niente con la consapevolezza di aver ritrovato entrambi un amico che in questo mondo Bastardo diventa un valore, un tesoro.
Oggi parto per l’Alaska ripercorrerò a piedi quei 1800 km della IDITAROD che abbiamo pedalato e camminato assieme, ridendo soffrendo ferendoci nel fisico e nella mente, ma forti di essere in due, appoggiandoci all’altro quando uno era in difficoltà.
2012 sarò da solo in quel percorso, ma so dopo questa lunga telefonata che Mauri mi seguirà, mi sosterrà e avvertirò anche se lontano la sua presenza a cui appoggiarmi. ERIS
Eris e il suo curriculum
"Sono Eris Zama, una persona normalissima che ha avuto, purtroppo o con piacere, (a questo quesito non sono riuscito ancora a dare una risposta), l’attrazione fatale di amare le corse di lunga distanza trovando in esse un avversario in cui misurare le mie capacità fisiche e soprattutto mentali e cercare, così, dentro di me il mio limite di sopportazione al dolore, alla sofferenza ed alla esasperazione fisica. La conseguenza di questa continua ricerca è stata la crescita di una grande forza interna che, inevitabilmente, mi ha spinto ad aumentare sempre di più la fatica ed i km nelle competizioni.
Riassumere in poche righe le numerose esperienze che ho vissuto sarebbe difficile, provo, con un elenco sommario, a riassumere quella che è la mia storia di atleta di lunghe distanze.
Sono passato dalle Maratone ai 200 km fino ad arrivare ai 500 km di corsa. Ho preso parte a varie competizioni nei grandi deserti; dall’Africa al Kenya, Marocco, Lybia. Una volta conosciuto il caldo ho partecipato alla famosa Batwater che si svolge nella Valle della morte in America, 220 km da percorrere nella zona più calda dell’emisfero con temperature che arrivano a +68° e nell’asfalto anche a +80°. In seguito mi sono cimentato nelle corse di montagna: 150/200 km dell’Isola della Riunion e del Monte Bianco.
Il mio carnet continua con la scoperta del TRIATHLON , così, dopo aver partecipato alle prime competizioni mi sono qualificato all’IROMAN delle Hawai, (uno dei primi italiani), poi sono passato al doppio iroman a Colmar (8/360/84 km) fino ad arrivare al DECAIROMAN in Messico (40/1800/420 km) concluso in 10 giorni, 23 ore e 12 minuti.
Dato che nel Triathlon si pedala per diversificare il movimento ho iniziato anche a prendere parte a corse di lunghe distanze in bici. Così dopo aver partecipato al primo Giro Italia in tappa unica, (1600 km in 84 ore), sono passato alle classiche: Parigi/Brest/Parigi di 1200 km, Boston/Montreal/Boston di 1200 km in 58 ore, il Giro di Sicilia di 1000 km in 49 ore inserendo anche gare di MTB.
In seguito ho pensato che dopo aver conosciuto il grande caldo dovevo provare anche l’esperienza del grande freddo ed ecco che ho inserito nelle mie esperienze la gelida Alaska. Nel 1999 ho partecipato all’ IDITA-EXTREME di 600 km ed ultimamente alla IDITA-IMPOSSIBLE e alla ALASKAULTRASPORT di 1800 km e penso di non aver ancora finito" . Eris
".......1 marzo 2002, sono le 5:45, stiamo spingendo la bicicletta sulla salita che ci fa uscire dal fiume e ci immette nel villaggio di Nikolai. E’ ancora buio ma il paese ha il suo solito fascino, ormai a me consueto.
Uniche spettatrici le case di legno basse, che fanno uscire il fumo dai piccoli camini delle caldaie e le luci arancione che illuminano e si riflettono sulla neve della via principale.
Tutto è ovattato, nessun rumore, solamente lo scricchiolio che fanno le ruote della bicicletta sulla neve e il sibilo del nostro fiato che si stampa sul passamontagna ghiacciato. Fa freddo.
E’ la terza volta che ci arrivo, ma mi piace, scopro ogni volta angoli diversi.
Riconosco la scuola con il piccolo parco e i giochi colorati, altalene e scivoli semicoperti dalla neve.
Sembra strano ma la vita è anche qui in questo villaggio di 125 abitanti, indiani Athabascan.
Unico cordone ombelicale con il mondo esterno, internet, la scuola è il fulcro della comunità è il riferimento principale per tutti, ed i diversi computer mandano e-mail via satellite e insegnano ai bambini le lezioni.
Passiamo alla sinistra del cimitero, ha l’aria molto spettrale e trasandata, con tutte quelle croci in disordine che spuntano dalla neve, superiamo anche la piccola pista d’atterraggio e ci dirigiamo verso la casa di Nik, il capo del villaggio. Un omone gigantesco, è così anche la sua generosità e sensibilità. La sua mole ci dà protezione e sicurezza. E’ un amico.
E’ sveglio e ci aspetta.
Noi arriviamo lentamente, il sonno a volte prende il sopravvento e ci fa barcollare: siamo partiti ieri mattina alle 9 da Rhon, siamo in movimento da ben 21 ore ma quasi non ce ne accorgiamo, siamo qui e l’abbiamo voluto noi con tutta la nostra energia. Abbiamo un obiettivo importante, anche per il nostro animo.
Appoggiamo le bici alla casa e prima di entrare ci scrolliamo la neve di dosso e battiamo gli scarponi sul selciato. Appena apriamo la porta della grande sala, una piacevole ventata di aria calda ci investe.
L’interno è sempre lo stesso, sembra ieri quando l’abbiamo lasciato, gran casino; scarponi e vestiti pesanti ovunque ad asciugare e cibo sulla tavola.
Ho le ciglia ghiacciate e la vista è un po’ offuscata, davanti a me il grande divano morbido di pelle consumata. Lo scorso anno ci avevo dormito qualche ora.
Sopra c’è un sacco a pelo che si confonde con il suo colore nero. Dentro, qualcuno ci dorme.
Lentamente si muove e si sveglia per il gran casino che facciamo.
Ho vissuto grandi momenti, di un’intensità unica, in questa gara-avventura incominciata nel 1999, e qualcuno già lo chiama mal d’Alaska.
Di questo immenso paese si è scritto tanto, tantissimo, dai cercatori d’oro agli esploratori, dai pionieri agli scrittori dei giorni nostri, ognuno ha riportato sensazioni, emozioni, gioie e sofferenze, sentimenti, amore, ma credo sia molto difficile spiegare e trasmettere quello che questo grande deserto bianco e le sue genti ti danno, anche se il prezzo è altissimo.
Credo di essere cresciuto un po’, ho assaporato la mia essenza di uomo senza vergognarsi dei suoi pregi e di tutti i suoi difetti. Ho vissuto pienamente la gioia e la felicità, perché ho conosciuto la paura, lo sconforto e la tristezza. Sembra banale, ma ero felice quando arrivavo in un villaggio o mi mettevo nella neve nel sacco a pelo a dormire perché potevo riposare e recuperare. Avevo grande gioia quando arrivavo al Post Office del paese perché trovavo il mio cibo, quello che avevo spedito con i piccoli aerei. Momenti che possono sembrare semplicissimi, ma per me erano importantissimi e lo credo ancora adesso.
E sembra incredibile, quando hai consumato tutte le energie, quando stai male, ti senti uno straccio e ti senti un sacco vuoto, come bastano poche ore e sei pronto a ripartire, quasi non ci credi e ti rimetti in gioco: stai realizzando un grande sogno......." Maurizio Doro
Un’amica mi ha scritto:
“Per me i sogni sono gemme preziose che nascondiamo in fondo ad una cassaforte chiamata cuore di cui nessuno, tranne noi stessi, ha la combinazione. E non importa quanto essi siano grandi, noi li coltiviamo con lo stesso amore perché segnano la strada maestra della nostra vita".
"........è finita, il portale di legno con la scritta: “ END OF IDITAROD ” in fondo alla via centrale di Nome in Alaska è oltrepassata e, dietro a quello, mi sono lasciato tutti i ricordi e le sofferenze di questa gara.
Ora sono a casa, fra le persone amiche, ma il ricordo che mi assale dell’avventura vissuta è incredibilmente strano.
Le notte sono lunghe ed insofferenti con bruschi risvegli, con l’ansia di dovermi alzare per continuare la corsa; poi mi accorgo di essere a casa e mi riaddormento con grande perplessità.
Durante le giornate, anche se è passata solo una settimana dalla conclusione della corsa, la gara mi sembra così lontana, sono insofferente a questo lieve abbassamento di temperatura classico dell’arrivo della primavera, e mi continua a gironzolare in testa una domanda: ero proprio io quello che ha vissuto 19 giorni e 6.30 ore ad una temperatura che oscillava fra - 10° / - 40°?
Per esserne sicuro vado sul sito del mio amico di avventura, dove quando potevamo, scrivevamo le nostre esperienze e provavamo anche a descrivere le emozioni che stavamo vivendo.
Così leggo il primo racconto della partenza e poi divoro tutti i brani che seguono come capitoli di un libro di avventura ma forse quel sito è proprio un piccolo libro di avventure, (che consiglio), e, mentre leggo queste righe, le immagini di quei splendidi luoghi e di quei momenti così emozionanti mi scorrono negli occhi come se stessi guardando un film.
Ciò che è incredibile è il fatto che non mi sto sostituendo al protagonista di una pazza avventura ma il protagonista sono proprio io!
Sono io che in MTB ho partecipato alla famosa corsa “IDITAROD” che consiste nel percorrere 1800 km in Alaska, da ANCHORAGE a NOME, tutto in un solo fiato!
Questa è considerata la terza gara più dura al mondo fatta con i cani da slitta ed io l’ ho conclusa spingendo a piedi la mia MTB per 300 km in mezzo alla neve e pedalando per 1500 km spingendo sui pedali con fatica come se fossi sempre in salita diventando così io e Maurizio i primi italiani ad attraversare l’Alaska in bicicletta nella mitica Iditarod!
Quello che sto leggendo mi emoziona molto perché so che è stato scritto alla fine di lunghe giornate di fatica e di sofferenza, sono racconti scritti con ancora il sudore sulla schiena ed il ghiaccio tra i capelli…
Non riesco ancora a staccarmi da quelle immagini e mi torna alla mente quando una bufera di neve e vento ci ha costretti, nella notte, a scavare una buca nella neve per ripararci dalle avversità del tempo ed al mattino mi rivedo girovagare nella gola che porta al passo di “Ranny Pass” in cerca della pista, con la neve che ci inghiottiva come sabbie mobili passo dopo passo non sapendo dove andare perché non c’era più alcuna traccia di pista da poter seguire o eventuali segnali in questo immenso imbuto bianco; quella volta abbiamo impiegato 27 ore per percorrere 29 km!
Ma quello che mi è rimasto più impresso nella mente sono i grandi silenzi che riempivano la vastità dei paesaggi e gli indimenticabili tramonti sul fiume Yukon.
Qualche amico mi dice di scrivere un libro, forse ha ragione; tante sono le cose che provo e che vorrei dire, esperienze e sensazioni che in un piccolo riassunto non riesco ad esprimere e a concretizzare perché tutto è talmente grande ed immaginabile, la fatica, la sofferenza, la gente, il freddo, il sonno, le albe, i tramonti, gli immensi paesaggi, i cani da slitta, insomma l’Alaska!
Credo proprio che non riuscirò mai a descriverla così come la ricordo realmente perciò rimarrà tutto dentro di me come uno scrigno di pietre preziose sotto al mare che nessuno riuscirà più a trovare. Per tutto questo dico solo grazie Alaska!......." Eris Zama
Se cercassi il “bel tempo” non rischierei mai per l'incertezza....
La sapete una cosa? Io ci sono già…..eheheeh
…..A me non piace giocare facile…….
La Vita è un'Avventura, ma anche un Cin Cin.....Mauri