COLORADO TRAIL RACE "CTR"
.
"IL MOSTRO"
.
La gara più dura al mondo. Da Durango a Denver attraversamento di tutta la catena montuosa di alta quota con tratti innevati, mediamente oltre i 3000 m con punte oltre i 4000 m di altitudine. 900 km totali con oltre 700 km di single track estremamente tecnici e pericolosi. 23.000 m di dislivello totale. Tempo impiegato 6 giorni 2 ore e 30 min.
“Da diverse ore ho maledettamente la bocca secca e incollata.
Nonostante continuo a bere a piccoli sorsi sento ancora il sapore amaro in gola, un sapore che non riesco a togliere.
E’ quello dello stomaco che si è ribellato più volte ed ha scaricato il suo intruglio seminandolo sul sentiero.
Mentalmente non mi sento stanco, anche se i miei muscoli sembrano svuotati e implorano energia.
Non riesco a mangiare ed ho la nausea, ma fortunatamente riesco a bere alternando anche con un pò di integratori con la borraccia di riserva.
Sono in quota.
Sono in alto, su un panettone verde, incontaminato.
E’ una giornata di quelle che si ricordano... eccome se si ricordano.
Da molto tempo continuo a salire, pedalando duro quando posso e a spingere quando non riesco a stare sui pedali nei tratti molto ripidi e sconnessi… direi da questa mattina, poco dopo la cittadina di Silverton.
130 km fatti, 28 ore e circa 6000 m di dislivello dalla partenza.
Che bastonata!
Sempre più su.
Salgo, salgo ancora, sono a 4000 m di altitudine.
Percorro alcuni morbidi e serpeggianti sentieri tra prati verdissimi, su e giù e poi un ampio giro, ma non vedo ancora la cima…
Ci sarà?
Sarà marcata?
E’ tutto così amplificato qua su, in un oceano di montagne spoglie a perdita d’occhio che ti senti un sassolino sgretolato e invisibile.
“Una zona pericolosissima questa in caso di maltempo, le violentissime tempeste di fulmini, negli anni, hanno fatto moltissime vittime tra gli escursionisti che si sono trovati in questi luoghi mentre il tempo cambiava improvvisamente.
Una delle raccomandazioni da non sottovalutare assolutamente è proprio quella di non oltrepassare la linea delimitata dai boschi e non salire assolutamente in caso si notassero nuvoloni scuri in arrivo ed aspettare il passaggio del temporale.
L’ultima notte, prima di arrivare a Denver, ho pedalato sotto la pioggia, fortunatamente non ero in piena “battaglia”…ma vi assicuro che 30 minuti in quella situazione ti crea un’ansia costante.
Vedere tutti quei fulmini lontani illuminare a giorno il bosco e sentire poi quei tuoni a ripetizione che scuotono gli alberi ed entrano fino all’anima fa pregare anche un ateo”.
Ora sento la mia energia pervadere il mio corpo in modo altalenante, per un attimo ne sento troppa, poco dopo manca completamente…sono confuso, appannato, abbandonato, mi sento solo, spossato.
Non ho nessun dolore fisico, in questo momento non sento il mio corpo… sono triste.
Non riesco a focalizzare bene cosa mi passa per la testa.
Assaporo questo turbinio di emozioni, le accetto, le faccio scivolare, mentre io continuo lentamente ad avanzare senza mai lasciare la presa.
Forse l’immensità, la bellezza del luogo e il sole tiepido della giornata stanno fecondando in me il seme di una conoscenza ancor più profonda.
Il seme prende vita anche all’esterno e dai mie occhi lucidi esce la vera essenza della vita, senza vergogna, che segna e scava dolcemente le mie guance già sporche di sudore e polvere.
Lo vedo!
Si, è lui!
E’ il segnale!
Il grosso palo di legno che cerca di resistere alla più potente natura si erige innanzi a me e la sua targa segna il punto più alto del Colorado Trail…4000 m.
Ho voluto intensamente questo momento, per anni l’ho cercato.
Voglio viverlo ora e portarlo dentro per sempre.
La bici è li appoggiata timidamente sui sassi alla base.
La mia energia ora si mescola con una gioia che sta lievitando…la sento esplodere dentro e sbocciare da ogni poro.
Un leggero drappo bianco ripiegato, dal quale si intravede una striscia di colore rosso e lineamenti di volto nero ben marcato, è rimasto li fin ora nella piccola sacca attaccata al manubrio.
Fa capolino, è li che aspetta il suo momento.
Non dovevo, non potevo perderlo.
Quando in qualche tratto molto sconnesso, in discesa, un piccolo angolo cercava di uscire dalla retina, con l’indice lo rimettevo immediatamente al suo posto.
Io so cos’è.
E’ sempre rimasto lì, leggermente in vista…poco poco.
Mi bastava un velocissimo colpo d’occhio e tantissime situazioni a me care, mi venivano in mente.
Ogni volta che la mia attenzione lo colpiva, mi apparivano eleganti fotografie passate e fiere vibrazioni.
….E’ la vita di questi ultimi 20 anni….la mia vita.
Si, sono loro, siamo noi.
E’ la mia famiglia.
I miei figli sono sardi.
E’ la bandiera che hanno tatuato nel loro cuore.
Ora quel drappo che ho sempre tenuto con cura ed è ancora candido, lo posso togliere, lo devo togliere, stenderlo sulla bici, regalarlo al vento e far sentire tutta la sua potente energia.
Come in riverenza rimango in silenzio e lo guardo… sono “appannato” e respiro a singhiozzi.
Poco tempo…è abbastanza…è un momento intenso.
Non avrei mai pensato, ma anch’io sono stato “catturato-rapito” dall’isola.
Grazie.
3 agosto 2019, 06:30, dopo 887 km, 23.000 m+, 6 giorni 2 ore e 30 minuti
Ho tagliato definitivamente la tesa al “Mostro”
Si, ho terminato il mio personale Colorado Trail Race, mi sono impegnato moltissimo, ho dato tanto, ci ho creduto fino alla fine in buon risultato.
A 57 anni, volevo ancora una volta guardarmi dentro e darmi una vera pacca sulla spalla, di quelle sincere, senza presunzione.
Ho riconosciuto il mio limite e la mia potenzialità.
Un leggero rammarico si, solo un po’ meno imprevisti.
Certo… sicuramente la fortuna non l’ho proprio aiutata e ne sono consapevole, la colpa è solamente mia, lo so…un pò di leggerezza.
Il mio ambizioso obiettivo era riuscire a terminare sotto i 6 giorni, un traguardo che ho coltivato e rincorso per mesi, come un samurai che affila con meticolosa cura e attenzione la sua Katama, prima di un duello decisivo…ci stava.
Solo un po’ di fortuna in più…
Un pizzico di fortuna in più…
Ma fa parte anche di questo gioco, poteva andarmi peggio…così si dice per giustificare o nascondere qualche disattenzione, errore o superficialità...incapacità anche…
Dopo appena 40 km dalla partenza, in una discesa veloce, improvvisamente sento un sibilo fortissimo e sbando paurosamente, sono stupito e non capisco il perché, mi trovo in un tratto pulito e poco sconnesso.
Penso alla rottura del telaio o ammortizzatore…
Nooooo…copertone posteriore lacerato…più di un cm.
Nooooo…fuori tutto il liquidooo.
Molti biker mi superano velocemente, qualcuno riconosce “l’italiano delle avventure americane” si ferma per offrirmi il suo aiuto.
“Thank you it’s ok” rispondo.
Ora però non posso distrarmi assolutamente.
Bisogna fare le cose con calma.
Devo pulirlo bene il copertone e controllare eventuali spine prima di mettere la “pezza” e la camera d’aria nuova.
Il Continental XKing, sicuramente ottimo, ma non sufficientemente adatto a questi percorsi, ci avevo anche pensato ad uno più “pesante”.
Però dai, non è così così frequente tagliare un copertone, l’ultima volta che ho tagliato, è successo 3 anni fa al 20k…ed era su un copertoncino leggero.
…proprio adesso… qui in Colorado…Nooooo, non ci voleva proprio.
Uno dei 2 Jolly è giocato…uno in meno adesso… ma ho guadagnato un pensiero in più,
Riparato il danno, per 2 giorni vado bene, tutto perfetto, nessun problema, …e io volo spensierato…quasi dimentico.
Poi un pomeriggio, in una sezione dura del percorso, la mia attenzione è attirata da un ondeggiamento anomalo della bici, quasi impercettibile, ho l’impressione che l’ammortizzatore lavori troppo morbido… come da un bruttissimo risveglio improvvisamente realizzo… ancora il posteriore, buco leggero, si sgonfia piano piano piano…nooooo…ancora.
Gonfio la ruota un paio di volte…mi sono illuso che potesse tenere… sperando, in chissà quale miracolo…che si tappi per conto suo.
“Ma va pivello”, penso tra me e me.
In realtà ero un pò infastidito, mi trovavo in un single esposto e scomodo e non volevo lavorare al sole.
Dopo diversi km mi decido, cambio la camera d’aria e riparo anche quella bucata, perché ne ho solamente due in tutto… dai, mi dico…ok la prendo come un’occasione per riposare un po’.
Mi assalgono altri pensieri.
Comincia a crescere in me la consapevolezza di aver valutato la scelta del copertone con molta leggerezza e sto pagando questa mia superficialità.
Questi errori li ho pagati tutti, mi hanno insegnato e messo alla prova ancora una volta e ancora una volta sono fiero della mia reazione, non mi sono abbattuto, ma ho continuato con sicura determinazione senza esitazione e sconforto consapevole che la responsabilità era solamente e tutta mia.
Pure quando mi si è scollata la suola della scarpa sinistra, è stata una gran battaglia e una situazione che ho gestito con controllo, anche se ho dovuto sopportare dei dolori alle dita dei piedi e perso un sacco di tempo.
Avevo percorso sin qui solamente 300 km e ne mancavano quasi 600 all’arrivo.
Stavo percorrendo a piedi un fantastico single di cresta spingendo e zigzagando con fatica nella ripida pietraia a circa 3600 m di quota, quando la mia attenzione al percorso è infastidita e disturbata, inizio a sentire del fastidio-dolore alle dita del piede sinistro man mano che la camminata si fa più impegnativa.
Inciampo più volte nei sassi e devo sollevare un po’ di più il ginocchio ad ogni passo, ma continuo per un po.
“Ero troppo concentrato e non ho cercato di capire subito il motivo, anche perché pioveva, ero completamente inzuppato, stavo spingendo con difficoltà tra l’erba alta, rami secchi, sassi scivolosi, fango e non volevo perdere il ritmo”.
Poi, mi decido e prendo un attimo di pausa, appoggio la bici al riparo sotto un albero e cerco di pulire al meglio la scarpa per verificare.
Le dita escono dalla scarpa e sono schiacciate dalla soletta in plastica…ecco cosa mi pizzicava cosi forte.
…lo sapevo, dovevo cambiare le scarpe… eppure non hanno neanche un anno, le ho usate poco, solamente nelle occasioni “dure”.
Oramai qui c’è poco da fare o giustificare, sto già pensando ai prossimi giorni in queste condizioni.
Mamma miaaaaa, sono messo male, molto male, aiutooooo.
Fil di ferro e nastro rinforzato sono il primo e unico rimedio al momento.
Tengono per un po’, fin quando pedalo, anche se non riesco a fissare la tacchetta al pedale, ma quando cammino nello scomodo cominciano i guai, sono costretto a rifare “la gessatura” molto spesso.
Fortunatamente c’è “tanto” da pedalare e mi risparmio un pò di dolore…almeno quello.
Passano le ore, e i giorni…mentre i dolori, quelli no, anzi, ora le unghie si sono arrossate, sono più sensibili e mi fanno molto male quando urtano qualche ostacolo.
“Succede sempre così, quando schiacci un’unghia, per alcuni giorni fa un male cane, anche il calzino più leggero la stritola, poi l’unghia inizia a prendere il colore scuro e non fa più male…peccato che per quel che mi riguarda il dolore mi passerà quando sarò arrivato a casa”.
Dopo 100 km e fortunatamente con diversi tratti in discesa, arrivo Mount Princeton Hot Springs.
E’ una piccola zona turistica ideale per famiglie, infatti quando mi fermo vengo circondato da diversi bambini incuriositi.
Purtroppo qui ci sono solamente qualche negozio di alimentari e un hotel…aia…niente scarpe, non è una sorpresa, me lo aspettavo.
Già che ci sono ne approfitto per mangiare una gran bella tipica “porcata” fatta di carne uova e patatine fritte, affogata in tutte quelle coloratissime salse che catturano la gola.
In ogni caso sono fiducioso e una speranza mi da carica: ad una trentina di km c’è la cittadina di Buena Vista a 2400 m di altitudine e ci sono dei negozi di bici.
A metà pomeriggio sono sulla sua via principale, quando ci arrivo ho l’impressione di una cittadina molto vivace e colorata, si ci sono alcuni negozi di bici, ma con mia sorpresa purtroppo oggi è il loro giorno fortunato…quello di chiusura…e purtroppo il mio giorno sfortunato ehehehe.
Giro di qua e di là in mezzo al traffico e non mi dò per vinto.
In uno di questi negozi, dalle serrande semi abbassate intravedo all’interno nella penombra, una ragazza che sistema gli scaffali.
Mi faccio notare, probabilmente impietosita viste le mie condizioni, apre…noooooo, non vendono scarpeeeeeee…
Va be, almeno compero 2 camere d’aria…non si sa mai…oramai la iella mi ha preso per mano e mi accompagna da qualche giorno.
Sono le tre di pomeriggio, sono in una bella cittadina, so che quello che mi aspetta sarà un bel lunghissimo single con un condimento di salite e diversi passi tra cui l’impegnativo Searle Pas di oltre 3500 m di altitudine, insomma ci sarà una gran bella battaglia.
Razionalmente sto valutando: ho fame, tra qualche ora sarà buio e non troverò nulla oltre questo paese…così decido di fermarmi in un locale all’aperto dove sta mangiando molta gente allegra.
Il locale è proprio sulla traccia gps.
Uuuuuu che bello da lì a poco arriva anche l’amico Brian Lovett, che ho già incontrato nei giorni scorsi lungo il trail.
Vede la mia bici e si ferma.
Ci abbracciamo.
Anche lui è affamato.
Anche lui ha i piedi gonfi.
Anche lui si toglie le scarpe.
Che sollievo girare scalzi.
Naturalmente io lavoro al meglio sulla mia scarpa rotta.
Sembra tutto normale, non attiriamo troppo l’attenzione anche se ai tavoli vicini ci chiedono come va la gara.
La conoscono.
Abbiamo passato un bellissimo momento assieme raccontandoci della nostra vita.
“Con Brian ci siamo ritrovati diverse volte lungo il percorso e una notte abbiamo anche bivaccato e condiviso le stelle in una notte fredda salendo verso Georgia Pass (ricordo un gran ventaccio in cima il mattino dopo)”.
Mi rimane un’ultima chance per recuperare un paio di scarpe.
Tra circa 140 km passerò per Copper Mountain, una rinomata stazione sciistica situata a 3000 m di altitudine.
Non conosco il percorso, ma so che non sarà assolutamente uno scherzo arrivarci, (oramai ho capito perché il Colorado Trail è considerato la gara più dura al mondo), e non vorrei raggiungere il paese nel pomeriggio tardi a negozi chiusi.
Devo assolutamente arrivare in tempo.
Quella notte non mi sono praticamente mai fermato, solamente una volta dopo aver barcollato un paio di volte ho ceduto e mi sono seduto appoggiato ad un pino ed ho chiuso gli occhi, erano le 5 di mattina.
Mi ero coperto solamente vestendo con il completo in Gore Tex e con il casco ancora allacciato che mi faceva da cuscino…non c’è stato bisogno di mettere la sveglia.
Mi permetto, anzi non l’ho deciso io, solamente 45 minuti di abbandono totale.
“Le prime luci del giorno cercano un debole spiraglio tra la folta nebbia mentre il mio corpo avvolto dalla spietata umidità è in preda a forti scossoni di brividi e chiede urgentemente di riprendere la temperatura.
La sveglia a funzionato perfettamente”.
E’ una sezione molto impegnativa e impervia, qualche volta piove forte, ma nel primo pomeriggio arrivo al villaggio di Copper Mountain con la scarpa che sputa le mie doloranti dita.
Ahhh, ci sono ben 2 negozi di bici…
Gli occhi mi scoppiano di stupore…qui non vendono scarpe…
Fortunatamente il commesso, un ragazzo biondo muscoloso, tatuato con i capelli lunghissimi, è gentilissimo e mi aiuta, dopo diverse telefonate sembra che in un magazzino vicino ci sia un 43 da bici… uuuuu… attendo l’arrivo del rappresentante che rifornisce il negozio.
Siiiii, non sono bellissime, ma sono blu…il colore del logo Naturaid.
Mi siedo al sole sulle sedie esterne di un fast food, che lavoraccio, smonto e rimonto le tacchette imbrattate di fango e scolpite dalle rocce che impediscono alle chiavi a brugola di fare il loro semplice lavoro.
Sudo, provo e riprovo la posizione delle scarpe sul pedale facendo delle pedalate nella piazza avanti ai tavolini.
Poi inaspettatamente il gestore molto disponibile mi offre un piattone fumante di maccheroni saporitissimi e patatine fritte.
Liiii diiivooooroooo.
E’ stato il mio giorno “fortunatissimo”.
Ora sono più sereno, dopo circa 270 km da “zoppo” finalmente ho risolto una scomoda situazione.
Per la cronaca, le camere d’aria e le pezze mi sono servite (che culo)…ho forato “solamente” 5 volte…uuuuuuaaaaaaaaaaaa che battagliaaaaaa.
“Analizzando ora, ho capito che affidarsi alla fortuna è cercare sempre la via più semplice e denota pura impazienza e pigrizia”.
Questa è una gara-avventura molto speciale ed unica, gli americani l’amano tantissimo e sono in moltissimi che la seguono in diretta da casa.
Ho incontrato persino delle anziane che passeggiavano su un tratto del nostro “sentiero”, mi hanno riconosciuto e chiamato perché seguivano la gara con il telefono.
Hanno voluto un selfie…che belli questi americani.
Sono qui, iscritto ad una gara-avventurosa, la più dura in assoluto e così voglio viverla, affrontando le situazioni più difficili e insidiose, cercando di risolverle come se fossero una normalità senza imprecare o accusare chissà quale colpevole.
I Trails, nascono per essere delle traversate da realizzare esclusivamente con le proprie forze mettendosi completamente in pasto alla natura e in competizione dura con se stessi per riconoscere le proprie capacità e limiti senza utilizzare nessun tipo di supporto esterno (automaticamente questo fa si che ci si confronti anche con gli altri che fanno la stessa identica cosa)
I Trails sono un contatto stretto con Madre Natura, il più selvaggio e lontano dalle più elementari comodità, come doccia, letto, ecc.
Io sono uno dei pionieri dal lontano 1997 ed ho imparato molto dai grandi americani.
Le leggende come John Stamstad, Mike Kuriak, Pat Irvin, mi hanno trasmesso la loro filosofia pura e la coltivo con determinazione, non andrò mai a dormire, durante una di queste potenti sfide avventurose, in un comodo B&B o in un lussuoso hotel che non sia un punto di controllo obbligatorio, mi sentirei assolutamente privato della vera essenza di queste “traversate-avventura”.
Devo sentire forte il contatto con l’ambiente, il piacere di una primordialità oramai lontana, spogliarmi del “lusso” che mi circonda nella vita quotidiana.
Diversamente, farei un viaggio-vacanza o un tour impegnativo a tappe.
Oggi i Trail danno libero sfogo di scelta al tipo di sfida personale che ogn’uno preferisce o decide di fare, lottare contro il tempo, per se stessi o per conoscere l’ambiente.
Questi eventi ti vengono offerti su un piatto d’argento, qualcuno te lo ha già preparato ed è pronto per consumarlo come meglio credi.
Puoi dedicare completamente la ricerca alla sfida contro il tempo o te stesso livelli estremi.
Una gara contro tutti e nessuno…solamente tu sai cosa stai facendo e quale arma stai usando.
Nulla di complicato, tutto sotto controllo, pochi pensieri, poco da ricercare…molta strategia.
Una traccia GPX ben confezionata, cosa ti serve in più per non fallire?
Hai tutto quello che ti serve in quella traccia, salite, discese, pianure, sentieri asfalto ecc, basta seguirla… ad occhi chiusi, parti e arrivi.
Solamente estremo impegno fisico se vuoi, più o meno intenso tra i partecipanti.
Impossibile sbagliare, solamente il tuo livello di conoscenza, preparazione fisica e psicologica, incapacità o un danno fisico possono compromettere il risultato.
Se io non capissi o non accettassi questo tipo di competizione proposta…andrei a fare un viaggio-vacanza o tour.
Un’altra cosa sono le avventure estreme, quelle dove sei tu in avanscoperta, in esplorazione…quelle non te le confeziona nessuno.
Questa attraversata è stata veramente fantastica, l’ho vissuta completamente senza risparmiarmi, mi ero preparato bene ed ho ricevuto in cambio la possibilità di terminare senza soffrire troppo e con un buon tempo, anche se mi ha veramente spremuto.
I giorni scorrevano inesorabili senza che me ne accorgessi più di tanto, scanditi solamente dal semplice vivere, luce, notte, cibo, riposo, null’altro.
Si vive su un’altra dimensione, ci si nutre di emozioni e tutto il resto non conta più nulla… non si sa cosa ci sta accadendo attorno.
E’ stata un’esperienza nuova che mi ha arricchito notevolmente.
900 km di natura vera, natura pura.
Ho pedalato, camminato, pedalato, camminato…nel fango, nella neve, nell’acqua, sotto la pioggia, spinto sui sassi a 4000 m.
Ho mangiato tanto quando potevo e l’ho desiderato tantissimo quando non ne trovavo.
Ho barcollato nelle notti come uno zombi seguito da deboli allucinazioni.
Non ho dormito 2 notti, stavo bene e mi piaceva condividere il mio profondo sentimento con la luna.
Ho conosciuto la grande paura una notte, mentre scendendo velocemente su un prato riesco a frenare all’ultimo istante e a fermarmi pietrificato a pochi metri da un gigantesco alce maschio.
Lo fisso nei suoi occhi rossi colpiti dalla mia torcia frontale e lentamente indietreggio, indietreggio, lontano, lontano, lontanissimo, cercando di fare il minimo rumore possibile quasi senza respirare per non innervosirlo… e mi abbandono seduto su un sasso per 15 min.
Ho pedalato nelle notti fredde e ventose scendendo per ripidi sentieri friabili fiancheggiando dirupi appena illuminati dalle mie luci.
Ho amato questa aspra Natura e mi sono chinato quando mi sono emozionato.
…Ancora una volta mi sono anche chiesto:
….“è utile tutto questo?”… non ho ancora trovato le risposta.
Spesso dall’alto della nostra presunzione pensiamo di essere dei Superman che creano a piacimento giochi virtuali e regole che regolarmente trasgrediamo… poi improvvisamente ci svegliamo e ci rendiamo conto che non è proprio così…il mondo, quello vero, quello che sta fuori da questi giochi ha le sue di regole…normalissime e sono quelle da sempre, se non le conosci non le rispetti o le ignori… fallisci, e non lo riavvolgi il nastro per ricominciare a giocare.
La vita è un’avventura, ma anche un Cin Cin
Mauri